È un contesto unico, tra i più suggestivi del mondo. Ed è in grave pericolo, come dimostrano i dati scientifici del Consiglio nazionale delle ricerche pubblicati di recente sulla rivista Science of the total environment, con l’obiettivo di supportare la pianificazione delle azioni di protezione. L’accelerazione dell’innalzamento del livello del mare e il progressivo abbassamento del suolo, infatti, stanno seriamente minacciando la diversità delle coste basse soggette all’azione delle maree, che hanno reso la laguna di Venezia uno dei paesaggi costieri umidi più particolari del Mediterraneo per la sua ricchezza di geodiversità. Due fattori che mettono a rischio le fragili strutture naturali del paesaggio, fondamentali per la biodiversità e la stabilità ecologica del contesto. A spiegare che cosa sta succedendo è appunto la ricerca condotta dall’Istituto di Geoscienze e Georisorse del Cnr di Padova che ha identificato i punti dove le coste sono maggiormente messe a repentaglio, argomentando che, entro il 2050, l’80% delle morfologie lagunari sarà classificato da “moderatamente” a “estremamente” vulnerabile, con un raddoppio delle zone colpite rispetto agli anni Novanta.
LA RICERCA
Luigi Tosi, dirigente di ricerca del Cnr-Istituto di Geoscienze e Georisorse, è stato parte attiva dell’approfondimento rimbalzato all’attenzione del mondo scientifico internazionale. «Prevediamo – spiega – che entro il 2050 le morfologie lagunari, oggi situate tra 25 e 50 cm sopra il livello del mare, si ridurranno di 16 km², mentre quelle che oggi sono tra 0 e 25 cm si restringeranno di 18. Questa perdita di eterogeneità avrà un impatto negativo sui preziosi benefici ecologici che l’ambiente lagunare fornisce. Le aree, sia emerse sia sommerse dalla marea, come le barene, le velme e i bassi fondali, contribuiscono a definire il paesaggio e dipendono da quote altimetriche specifiche prossime al livello del mare. Per mantenere le loro peculiarità, contrastare l’innalzamento del livello delle acque e la subsidenza, cioè l’abbassamento del suolo, è essenziale che tali aree crescano in altezza, processo che può avvenire grazie all’accumulo di sedimenti trasportati dalle maree sulla loro superficie. Secondo lo studio, il progressivo appiattimento e il restringimento di questi ambienti portano a un deterioramento morfologico della laguna e a una perdita di geodiversità che a sua volta implica l’annullamento di servizi ecosistemici».
«Finora – aggiunge l’esperto – le strutture naturali della laguna hanno mostrato una certa capacità di adattarsi all’innalzamento del livello del mare, ma con l’accelerazione continua di questo fenomeno e la mancanza di nuovi sedimenti, il sistema sarà messo a dura prova. Le barriere mobili del Mose, se da un lato proteggono il centro storico dalle maree eccezionali, dall’altro riducono l’apporto di sedimenti alle aree emerse come le barene: senza di essi non riusciranno a crescere in altezza e rischiano quindi di scomparire».
Il team, combinando indicatori ambientali provenienti da diverse fonti, tra cui lo studio della stratigrafia e dei paleo-ambienti, analisi geotecniche e informazioni ottenute dai satelliti, è riuscito a valutare la sensibilità e il pericolo a cui è esposto il sistema lagunare, evidenziando dove è più urgente intervenire per proteggere l’ecosistema. L’indagine ha esaminato sia le morfologie emerse, visibili sopra il livello dell’acqua, sia quelle sommerse, che svolgono un ruolo cruciale nel mantenimento dell’ecosistema stesso.
E per quanto riguarda le soluzioni, dal Cnr si avanza l’ipotesi di mettere in atto misure di ingegneria geologica, tra cui il ripristino delle barene sprofondate o erose favorendo la sedimentazione, ad esempio con il trapianto di vegetazione, il ripascimento periodico, cioè l’apporto naturale di sabbia per mantenere un’altezza sufficiente delle barene, la protezione delle piane di marea per prevenire l’erosione, o l’installazione di frangiflutti sommersi per limitare l’impatto delle onde.
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