18.05.2025
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Economy

Influencer, pubblicità occulta e regali non tassati valgono fino a 100 milioni. Verso la stretta sulle baby star dei social


Una stretta per limitare il fenomeno dei baby influencer e del cosiddetto “sharenting”, cioè la condivisione costante di immagini e video dei propri figli sui social media. Si tratta di adolescenti, bambini o addirittura neonati. Maggioranza e opposizione lavorano a una legge bipartisan, a partire dai sette disegni di legge depositati in Parlamento, per frenare gli abusi online. Un primo via libera alla norma, in una delle Commissioni chiamate in causa, potrebbe arrivare tra settembre e ottobre, assieme al nuovo codice di condotta che sta elaborando l’Agcom (l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni) con le associazioni di settore, dopo il via libera alle linee guida per gli influencer lo scorso gennaio. L’obiettivo è garantire trasparenza e correttezza commerciale dopo il caso Ferragni-Balocco, equiparando definitivamente chi fa l’influencer “di mestiere” a dei veri e propri media audiovisivi. E limitando sia la pubblicità occulta che la tendenza dei pagamenti in regali e servizi non tassati in cambio di promozioni dei brand da parte delle star online (i cosiddetti “supplied” e “gifted”). Un fenomeno che coinvolge sempre di più gli influencer medi (con meno di 1 milione di follower) o addirittura i micro-influencer (con al massimo 100mila ”seguaci”), su cui ora puntano le aziende per canalizzare gli sforzi e limitare i rischi se qualcosa va storto (vedi sempre il caso Ferragni). Questo grigio giro d’affari, secondo Andrea Lamperti, direttore dell’Osservatorio Internet media del Politecnico di Milano «non è facilmente quantificabile, ma si può stimare che valga decine di milioni, potenzialmente fino a 100 milioni di euro, di cui il 20-25% per gifted e supplied». Circa un terzo, quindi, del volume d’affari lecito dell’influencer marketing, da 350-375 milioni.

COSA PREVEDE

La proposta di legge bipartisan presentata dal Pd alla Camera e da Fratelli d’Italia al Senato, la cosiddetta “Madia-Mennuni”, potrebbe essere la base di partenza del futuro testo unico. La norma obbliga le piattaforme social a verificare l’età degli utenti, in modo da negare l’accesso ai minori di 16 anni (sotto quest’età i contratti con le piattaforme diventano nulli) e attiva un canale di comunicazione con il numero di emergenza per l’infanzia per segnalare abusi.

La diffusione non occasionale di immagini e video di minori di 16 anni, poi, deve essere autorizzata da entrambi i genitori e dalla direzione provinciale del lavoro, se l’attività produce entrate dirette o indirette superiori ai 12mila euro l’anno. Oltre questa cifra i proventi devono essere versati su un conto corrente intestato proprio al minore e quindi non sono di immediata disponibilità dei genitori, tranne nei casi di emergenza, ma «nell’esclusivo interesse del minore» e con l’ok di un giudice.

Tra le altre proposte di legge, quella della pentastellata Gilda Sportiello prevede anche il diritto all’oblio per la rimozione delle immagini dal web, se pubblicate quando il minore ha meno di 14 anni. E ancora: le piattaforme sarebbero obbligate a varare un codice di regolamentazione per la diffusione di contenuti dei minori. Infine la proposta del Verde Angelo Bonelli stabilisce che le attività di sharenting e dei baby influencer debbano essere comunicate e autorizzate dall’Agcom. Proprio all’Autorità garante delle comunicazioni la Lega ha chiesto un supplemento di indagine sulla pubblicità social dei prodotti finanziari e sui consigli di acquisto di titoli in Borsa, dopo le ultime multe fino a 75mila euro agli influencer che promuovevano il gioco d’azzardo. Le linee guida approvate dall’Agcom a gennaio prevedono regole di trasparenza sulla pubblicità, contro ogni forma di promozione ingannevole per chi ha almeno 1 milione di follower e un tasso di coinvolgimento degli utenti superiore al 2%. Ma si attende una ridefinizione dei parametri: le soglie potrebbero essere abbassate. Se si violano le regole scattano multe fino a 600mila euro.

LE PROPOSTE

Ora, però, nel tavolo tecnico per la definizione del codice di condotta, tra le associazioni degli influencer l’Aicdc si oppone all’equiparazione tra le star del web e gli editori, perché i primi non controllerebbero le piattaforme in cui operano. Assoinfluencer propone invece di ridimensionare, se non direttamente eliminare, la soglia di applicazione della regolamentazione. In ogni caso la stessa Agcom è consapevole che questo è solo l’inizio di un percorso. «Il mondo degli influencer, soprattutto dei piccoli e medi – spiega a Il Messaggero Veronica Gentili, tra le maggiori esperte di social media marketing in Italia — è ancora una giungla totale. Per tutelare chi fa sul serio questo lavoro e far arrivare un gettito fiscale milionario allo Stato, bisognerebbe stabilire una soglia di fatturato sotto la quale si deve pagare una tassazione forfettaria. Superata questa soglia ci dovrebbe essere l’obbligo di aprire la partita Iva, con tanto di codice Ateco ad hoc, che oggi non c’è».

In questo modo sarebbero tassati anche prodotti e periodi di ospitalità gratuita offerti agli influencer in cambio delle pubblicità sui social, magari non dichiarate. Un vaso di pandora scoperchiato nelle ultime settimane da Selvaggia Lucarelli e che sta facendo discutere molto gli utenti sul web. «Si tratta – chiarisce la commercialista e divulgatrice web Giorgia Salardi — di compensi in natura o prestazione di servizi e le norme in teoria prevedono che vadano assoggettati a tassazione. Per il Fisco è difficile verificare ogni profilo e contratto associato, ma essendo tutto pubblico non è certo impossibile».

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