«Inaccettabile». Lo dice e lo ripete più volte Giorgia Meloni in una telefonata dai toni duri con Benjamin Netanyahu, il premier israeliano deciso a portare fino in fondo il suo azzardo mediorientale: spazzare via Hezbollah e Hamas e tutto quel che c’è in mezzo. Incluso Unifil, il contingente delle Nazioni Unite a cui ieri ha recapitato un avviso di sfratto dal Libano.
IL VIAGGIO
La premier italiana definisce «inaccettabili» gli attacchi e le provocazioni delle truppe israeliane, chiede al suo interlocutore di «fermarsi» mentre i merkava fanno irruzione e feriti in un’altra base Onu. Mette a verbale in una nota al vetriolo che la missione di peace-keepers agisce «su mandato del Consiglio di sicurezza per contribuire alla stabilità regionale».
Di fronte però trova un muro di cemento. A Roma considerano parole al vento, o poco più, le «garanzie» che il premier israeliano assicura alle truppe Onu, mentre il suo esercito sul campo fa di tutto per farle arretrare, «Giorgia, faremo il possibile» insiste al telefono. Prima di confessare però la dura realtà: «Dovete capire che Israele non permetterà mai più a un’organizzazione terroristica genocida di avvicinarsi ai nostri confini, né a Gaza né in Libano». Tradotto: andremo avanti, costi quel che costi. È una telefonata che non lascia spazio all’ottimismo, incupisce la premier convinta ora più che mai che Israele intende invadere il Libano e restarci finché non avrà sradicato gli Hezbollah. E che questo sia il preludio al vero piano di Netanyahu: lo strike missilistico per piegare l’Iran.
Per questo Meloni vuole prendere l’iniziativa. Nei giorni successivi al Consiglio europeo in programma mercoledì e giovedì, a quanto risulta al Messaggero, la presidente del Consiglio partirà alla volta del Medio Oriente. Farà tappa almeno in due o tre Stati, con i galloni di presidente di turno del G7, al viaggio si lavora in gran segreto a Palazzo Chigi per motivi di sicurezza. Probabile una visita in Giordania, attore-chiave per coinvolgere altri Paesi arabi negli sforzi per la de-escalation in Libano e formare una «coalizione di volenterosi» per finanziare e rimettere in sesto le forze armate regolari di Beirut.
In questi giorni è prevista una riunione del Consiglio di sicurezza dell’Onu estesa all’Italia sulla questione Unifil. Meloni è preoccupata. Chiama i ministri Antonio Tajani e Guido Crosetto, sente i generali sul campo. Sa che non c’è tempo per aspettare a braccia conserte riti e caminetti del Palazzo di Vetro a New York. La telefonata con Netanyahu le ha dato la certezza, semmai ve ne fosse bisogno, che il premier israeliano voglia sfruttare il “vuoto” di potere di un’America sospesa in vista della sfida Harris-Trump il 5 novembre.
Di qui la missione per tessere la tela in Medio Oriente. Prima però la attende Bruxelles. Ieri i 27 Stati membri Ue hanno trovato l’intesa su una dichiarazione congiunta per condannare le provocazioni e gli attacchi dei militari di Tel Aviv contro i Caschi Blu. Superate all’ultimo, con la mediazione italiana, le rimostranze di Ungheria e Repubblica Ceca. Il vero test però sarà il Consiglio europeo. Un fronte di Paesi membri guidato dalla Francia spinge per la linea dura: sanzioni ed embargo totale Ue della vendita di armi a Israele.
Meloni è contraria. La considera un’iniziativa spot e sicuramente «controproducente», così ha detto ai suoi consiglieri nei giorni scorsi. Se ne è convinta tanto più dopo la telefonata a “Bibi”. Che in nome del comune asse politico le ha chiesto esplicitamente di frenare il fronte oltranzista in Ue. Con tanto di sfogo: «Invece di criticare Israele, che combatte in prima linea per la civiltà, dovrebbero rivolgere le loro critiche a Hezbollah e ai suoi sostenitori iraniani». C’è una sfida nella sfida per la premier ed è tutta politica. Domani sarà in aula a riferire e centrodestra e opposizioni cercheranno una quadra difficilissima sul Medio Oriente. Improbabile che le posizioni convergano sulla Palestina, mentre si cercherà un voto incrociato per fare quadrato intorno al contingente Unifil: sherpa al lavoro.
IL CAMPO
Intanto Netanyahu cerca di persuadere al telefono la sua interlocutrice. Le spiega che Hezbollah «usa come scudi umani» i peacekeepers. Non che a Roma ignorino la realtà sul campo. Due giorni fa un gruppo di miliziani si è arroccato dietro una torretta dell’Unifil in disuso, vicina a una base che ospita militari italiani, e da lì ha preso la mira sugli israeliani. È il “partito di Dio” il primo a cercare l’incidente. Ma questo non giustifica le provocazioni israeliane, replica dura Meloni. Da giorni le Idf bombardano intorno al quartier generale di Naqoura, ora si stanno spostando verso Shama per poi piegare ad Est e cercare di chiudere in una sacca le milizie. Al governo c’è un fronte crescente tra militari, diplomatici e ministri che si chiede, pensando ai più di mille soldati Onu: «Quanto ancora possiamo lasciarli lì?».
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