04.09.2025
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Politics

in Parlamento il partito trasversale delle donne


Non va al voto unito, non condivide le stesse convinzioni culturali, eppure unisce le forze quando si tratta di mettere a fattor comune soluzioni concrete. È il partito delle donne, il raggruppamento trasversale che tiene insieme onorevoli e senatrici che in Parlamento siedono in scranni di gruppi politici diversi. In prima linea quando si tratta di dare un input su iniziative che riguardano la violenza di genere e pronto, ora, a scendere in campo dopo il caso del sito sessista Phica.eu, che tra le vittime vede anche alcune di loro, incluse leader di partito e ministre. Contando sul supporto di tanti colleghi uomini che temono che la deriva di alcuni infici sulla rappresentazione di tutta la categoria.

LE PROPOSTE

Se è difficile che si concretizzi l’idea di una denuncia collettiva da parte di tutte le esponenti politiche coinvolte — proposta avanzata dalla dem Lia Quartapelle — inclusa la suggestione di un esposto condiviso dalla leader del Pd e dalla premier (secondo quanto viene confermato le due non si sarebbero sentite sul tema), prende quota l’ipotesi di un intervento legislativo ad hoc. Nelle ultime ore sono andate avanti le interlocuzioni tra il ministero per le Pari opportunità e altri ministeri, in primis il Viminale, per fare una ricognizione delle misure già in campo. Avviata sulla scia delle dichiarazioni della ministra Eugenia Roccella, che nei giorni scorsi ha annunciato un potenziamento del «monitoraggio di situazioni di questo tipo, la segnalazione alle autorità competenti a cominciare dalla magistratura e l’individuazione degli strumenti più efficaci per il contrasto di questa barbarie del terzo millennio». In Parlamento, nel frattempo, qualcosa sembra muoversi. Oltre ai disegni di legge depositati e quelli di cui si annuncia la prossima presentazione, una corsia preferenziale pare essere rappresentata dal disegno di legge in esame in commissione Lavori pubblici del Senato, a prima firma della meloniana Lavinia Mennuni e della dem Simona Malpezzi, (un testo identico alla Camera era stato presentato della deputata Marianna Madia), che punta a regolare l’accesso dei minori alle piattaforme. Un testo, condiviso da tutti i gruppi parlamentari e che presto potrebbe subire un’accelerazione. Il prossimo passo, spiega al Messaggero Mennuni, è il parere della Commissione europea, atteso per il 12 settembre. Un passaggio reso necessario dal fatto che molti punti, a partire dalla profilazione dei dati, sono di competenza europea, e dalla necessità di un confronto più ampio anche sul tema dell’age verification, i paletti anagrafici da mettere per l’uso dei social. Una volta che il testo passerà il vaglio, le presentatrici non escludono ulteriori ritocchi per fornire ulteriori garanzie. «Siamo disponibili al confronto», ragiona Simona Malpezzi, convinta che sia necessario puntare sull’educazione digitale per incentivare il corretto utilizzo di questi strumenti. Nello stesso ddl, in esame in sede redigente (arriverà in Aula solo per il via libera definitivo), ragiona qualche senatore fuor di taccuino, potrebbero rientrare anche emendamenti governativi che aggiungano nuove misure repressive e risorse. I casi di sessismo portati alla luce da Phica.eu e dalla pagina “Mia moglie” attivi entrambi da diversi anni, sono il sintomo di un problema , però, che va ben oltre le fragilità dei minori e che richiede interventi ad hoc estesi per tutte le fasce d’età.

LA LETTERA

In questa direzione, la richiesta avanzata da alcuni dem (Sara Ferrari, Cecilia D’Elia, Antonella Forattini, Valentina Ghio, Filippo Sensi, Valeria Valente), in una lettera alla presidente della commissione sui femminicidi, Martina Semenzato, di «porre come priorità assoluta alla ripresa dei lavori di settembre l’apertura di un filone di indagine sul tema dell’odio in rete contro le donne». Un invito che Semenzato sembra pronta ad accogliere: «È stato fatto un punto con tutto l’ufficio di presidenza», spiega a questo giornale, anticipando che verrà avviato un ciclo di audizioni. In generale, aggiunge la presidente della commissione d’inchiesta, «è necessario avviare una riflessione sui mezzi, visto che la violenza cambia forma e assume anche una veste digitale. Bisogna riflettere sul ruolo di chi gestisce questi forum e profili, senza contare quello dei gestori social: è evidente che le policy alla base non siano sufficienti». Intanto si moltiplicano le proposte da parte di tutti i partiti, che mirano ad agire su tre direttive: pene più severe per chi diffonde immagini senza consenso, obbligo di identità digitale per navigare sul web, stop immediato ai siti che ospitano contenuti illeciti, procedure d’urgenza per oscurare siti sessisti. Tra queste, spunta quella di Forza Italia, presentata da Maurizio Gasparri e Pierantonio Zanettin, il cui iter di esame, in commissione Giustizia, ha preso avvio lo scorso agosto, e che ha l’obiettivo di individuare le responsabilità oggettive delle piattaforme. Un appello arriva anche dalla consigliera di ammistrazione della Rai, Simona Agnes, che ieri ha espresso solidarietà alle giornaliste Rai e non solo, che hanno subito furti di immagini, rielaborazioni non autorizzate e pubblicazione sui siti e sui social media: «Dobbiamo unirci, istituzioni, aziende, media e piattaforme in uno sforzo comune per proteggere le persone, sostenere le vittime e prevenire nuovi episodi di violenza digitale».

IL CASO IN PROCURA

Sul fronte giudiziario, invece, la caccia ai siti sessisti è passata nelle mani delle Procure, che ora indagano su chi ospita sui propri siti immagini ‘rubate’ di donne, celebri e comuni. Solo dopo l’informativa richiesta alla polizia postale, i magistrati della Capitale potranno aprire un fascicolo, ma è probabile che, con l’aumento di denunce ed esposti, anche altre procure si affiancheranno presto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA


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