C’è un gesto culturale e civile, un nuovo galateo che parla di rispetto e armonia. In un’epoca in cui l’eccesso è cafone e l’etica del consumo si fa sempre più raffinata, il second hand conquista una dignità nuova, diventando non solo una scelta responsabile ma, talvolta, anche un gesto di stile. Non si tratta di tornare indietro, ma di andare avanti con più leggerezza e consapevolezza. Nell’armadio del XXI secolo non mancano pezzi dal passato, magari ereditati dalle nonne o comprati usati, che raccontano storie, educano al riuso e incarnano una nuova forma di rispetto.
A dare forza a questo fenomeno sono anche figure reali, come la regina Letizia di Spagna o la principessa Kate Middleton, che con naturalezza indossano più volte lo stesso abito o rispolverano capi vintage da occasioni passate. Non si tratta solo di stile – impeccabile, in entrambi i casi – ma di un messaggio potente e moderno: riciclare non è scendere di tono, ma salire in coscienza. Il mondo dello spettacolo segue a ruota: molte star, da Emma Watson a Drew Barrymore, dichiarano apertamente la loro predilezione per il second hand, promuovendo app come Vinted, Depop o Vestiaire Collective. Non è solo moda, è cultura.
Ed è anche una nuova forma di galateo: non si spreca, si valorizza; non si ostenta, si riflette. Ma la storia del second hand, in realtà, ha radici profonde. Negli Stati Uniti, i thrift shops — i primi risalgono ai primi del ‘900 — sono parte integrante del tessuto urbano e sociale. Nato inizialmente per motivi economici, il commercio dell’usato si è via via trasformato in un modo per supportare cause benefiche. Catene come Goodwill o The Salvation Army, ad esempio, devolvono i proventi alla comunità, sostenendo programmi di inclusione, formazione e aiuto alle fasce più fragili. Un gesto di solidarietà che dà un significato più ampio e profondo a ogni acquisto da indossare. E cosa dire del mondo dell’infanzia? I negozi second hand per bambini rappresentano da sempre una risposta intelligente a un problema concreto: i più piccoli crescono in fretta, e i vestiti durano poco. Acquistare o scambiare capi usati non è solo pratico, ma anche educativo, perché insegna fin da piccoli il valore delle cose e il rispetto per chi le ha indossate prima. Anche gli stilisti italiani, come Alessandro Michele, sono stati avvistati in mercatini dell’usato. Acquisto o ispirazione?
Flavia Padovan, stilista dello storico brand romano, racconta: «Quando sono all’estero, amo andare in giro per negozi di vintage dove scovo sempre dei pezzi introvabili. A Parigi, uno in particolare ha dei capi di Chanel fuori collezione e a Milano c’è Madame Pauline». Attenzione, c’è differenza tra i mercatini dell’usato che vendono pezzi di signore annoiate che vogliono svuotare il guardaroba e negozi vintage che fanno ricerca. Nascono mercatini solidali, temporary shop vintage, boutique del riuso che propongono selezioni curate e pezzi unici. Catene come Humana Vintage – che devolve il ricavato a progetti umanitari in Africa – o iniziative locali come «Second Hand Solidale» nelle grandi città, coniugano ricerca, beneficenza e rispetto ambientale. Anche il mondo digitale partecipa a questa trasformazione: piattaforme italiane come Armadio Verde o Subito stanno ridefinendo il modo in cui percepiamo l’usato, rendendolo desiderabile, ordinato, “di buone maniere”. Il mercato del second hand di lusso – borse firmate, scarpe, abiti haute couture – è in forte espansione, ma non è esente da insidie. La contraffazione è un rischio reale, e qui entra in gioco un altro galateo, quello dell’autenticità. È buona norma rivolgersi a rivenditori certificati, dotarsi di expertise o affidarsi a servizi di autenticazione professionale. Il rispetto per il marchio e per chi ha creato quel pezzo – con lavoro, talento e dedizione – passa anche da qui. Oggi acquistare usato e dichiararlo con serenità, non è più segno di ristrettezza economica, ma scelta consapevole. E cosa c’è di più garbato che ridare vita a un capo, prolungarne l’esistenza, riconoscergli una nuova dignità?
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