A quarant’anni dalla sua inaugurazione come primo museo di arte contemporanea in Italia, il Castello di Rivoli a Torino ripensa ai propri inizi con una mostra che è un omaggio alla propria prima esposizione, ma anche una riflessione su cosa significhi essere oggi un museo del presente. «Ouverture 2024» è un grande progetto di riallestimento della collezione che intende parlare delle opere e degli artisti, ma anche della stessa istituzione. «Vuole raccontare parzialmente la storia recente del museo — ha detto a Askanews Francesco Manacorda, direttore del Castello di Rivoli e co-curatore della mostra — ma più che altro, non soltanto la storia recente, vuole anche proiettarsi verso il futuro e raccontare attraverso le opere degli artisti quale tipo di museo noi immaginiamo per l’oggi, quali immaginiamo per domani e quali momenti e riflessioni che l’arte contemporanea ci regala vogliamo portare di fronte agli occhi dei nostri visitatori».
Quattro decenni dopo l’effettiva «Ouverture» del museo nel 1984, il progetto attuale non intende rifare quella mostra, ma ispirarsi alle sue modalità per rendere ancora più vivo il luogo, lo spazio di narrazione museale, che attraverso le opere e le stanze ripensa anche a se stesso. «Abbiamo lavorato con gli artisti — ha aggiunto Marcella Beccaria, co-curatrice della mostra — li abbiamo invitati esattamente come fece negli anni ’80 Rudi Fuchs a venire al Castello, a fare sopralluoghi, in modo da trovare per ciascuna delle opere in collezione anche le condizioni espositive migliori. Ed è chiaramente un racconto che parla del presente, delle tante urgenze che connotano il mondo contemporaneo. Non è una mostra a tema, abbiamo pensato che non fosse corretto limitarci a un unico tema, ma ci sono grandi tematiche che attraversano questi lavori e li mettono in comune».
Alcuni artisti, come Michelangelo Pistoletto, Richard Long o Sol LeWitt, sono presenti oggi come nel 1984, ma il riallestimento, concepito per sale che sono a loro volta delle piccole mostre personali o bipersonali, guarda con forza al presente, con gli occhi di artisti imprescindibili come Pierre Huyghe, Anne Imhof, Ed Atkins e soprattutto Hito Steyerl, che scavano dentro il nostro tempo e la sua disumanizzazione digitale, cercando il presente estremo.
«Per tornare al presente e per tornare anche al futuro — ha detto Manacorda — bisogna veramente affidarsi alle mani e alle visioni degli artisti, quindi quello che il Castello ha sempre fatto e continua a fare è seguire gli artisti in territori che sono ancora inesplorati. C’è un nucleo di opere, per esempio, che si occupa del digitale e di quello che vuol dire la rappresentazione del sé, sempre più complesso e frammentato tra il reale e il virtuale. In questo caso sono proprio gli artisti a fornirci degli strumenti critici per guardare ciò che sono le macchine digitali e l’impatto che l’arte dell’intelligenza artificiale sta iniziando ad avere e che nei prossimi anni sarà sempre più grande».
L’esposizione del Castello di Rivoli apre, quindi, come una finestra polifonica su ciò che non sappiamo e su ciò che potremmo essere. Un viaggio incerto e interessante, come il percorso dentro la tela jeans mobile di una grande installazione di Paola Pivi. Ognuno arriverà all’uscita con il proprio passo.
(Leonardo Merlini)
Leave feedback about this