Sul no alla conferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea «nessuno può dire che non siamo stati chiari fin dall’inizio». Tommaso Foti, capogruppo di Fdi alla Camera, difende a spada tratta la scelta indicata da Giorgia Meloni ai suoi europarlamentari a Strasburgo.
Temete ripercussioni in Europa dopo la contrarietà espressa alla presidente?
«Assolutamente no. Avevamo detto che non avremmo appoggiato una maggioranza con i socialisti e i verdi, partiti tra l’altro usciti ridimensionati dalle elezioni Europee. Abbiamo tenuto un profilo coerente. Sul piano istituzionale continuerà il dialogo tra il presidente del Consiglio e von der Leyen. È un confronto aperto a tutela degli interessi italiani. Non c’è alcuna preoccupazione che ci possano essere cambi di rotta».
Le forze dell’opposizione vi attaccano, la tesi è che avete ridotto l’Italia all’isolamento…
«Purtroppo nel nostro Paese abbiamo un’opposizione che porta avanti un atteggiamento anti-italiano. Negli altri Paesi europei che hanno votato come noi nessuno ha scatenato polemiche in questo modo. È il caso di dire che occorre guardarsi le spalle da chi ha deciso di non vestire mai la maglia azzurra».
Quindi non ritiene che l’Italia sarà penalizzata?
«Ripeto, sarà il presidente del Consiglio a continuare a coltivare il rapporto con von der Leyen. Più volte la presidente della Commissione europea è venuta in Italia e, soprattutto sulle politiche migratorie, l’Europa grazie a questo dialogo ha cambiato posizioni rispetto al passato».
Ma ora cosa vi aspettate dalla nuova legislatura europea e dalla presidente della Commissione?
«Su alcuni dossier vi è stato un cambio di passo, ma per esempio sul green deal ci aspettiamo un ravvedimento significativo rispetto ad un’impostazione che è certamente legata ad un impegno programmatico. Politiche troppo spinte verso un ambientalismo ideologico possono creare contraccolpi sul piano della perdita di competitività rispetto agli altri continenti e con ricadute sul piano occupazionale e sociale».
La prossima partita sarà proprio sul portafoglio che spetterà al commissario italiano…
«L’Italia ha la seconda industria manifatturiera in Europa, è il Paese con la terza economia, l’unica nazione dove il presidente del Consiglio ha vinto le elezioni. L’Italia è uno dei Paesi fondatori dell’Unione e ha diritto di avere una rappresentanza importante. I trattati sono stati sottoscritti a Roma, non altrove…».
Lega e Fratelli d’Italia si ritrovano sullo stesso fronte. Giocheranno partite diverse in Europa?
«I vari gruppi nel Parlamento europeo affrontano i dossier secondo gli interessi nazionali. Anche nella scorsa legislatura abbiamo assistito a scelte diverse, anche all’interno delle stesse famiglie».
Ma anche lei ritiene come Matteo Salvini che sarà una coabitazione difficile quella tra i Verdi e i Popolari europei?
«Certamente questo è un elemento significativo. Le maggioranze politiche basate sui numeri hanno da dimostrare di essere tali quando si entra nei dettagli degli argomenti».
Può esserci uno spostamento a destra anche della maggioranza in Italia?
«Anche cinque anni fa Fratelli d’Itala e Lega non votarono per Ursula von der Leyen. Piuttosto trovo corrispondente alle nostre posizioni l’atteggiamento di FI che ha fatto sapere che non voterà il candidato presidente dei Verdi nella commissione Cultura».
Il segretario di FI, Antonio Tajani, è comunque rimasto deluso dal vostro voto.
«Non ci si può certo addebitare un cambiamento di strategia».
A proposito, che cosa pensa del ragionamento di Pier Silvio Berlusconi secondo il quale in Italia c’è un grande spazio politico al centro.
«Meloni ha conquistato un grande consenso in una vasta area politica proprio in virtù della coerenza delle sue battaglie, portate avanti sia all’opposizione che al governo».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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