12.11.2025
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Politics

«Il collegio non si dimette. Accuse infondate, agiamo in autonomia»


FdI ha aperto all’azzeramento del Garante per la privacy chiesto dalle opposizioni. Ma il presidente dell’Autorità, Pasquale Stanzione, lo ha escluso: «Il collegio non presenterà le proprie dimissioni, le accuse sono totalmente infondate». E poi, rincarando: «Quando la politica grida allo scioglimento o alle dimissioni dell’Autorità non è più credibile». Nelle ultime ore, specie nel centrosinistra, si è fatta largo la convinzione che servano anche nuove regole per la scelta di chi è chiamato a far parte dell’organismo di protezione dei dati personali. Attualmente, due componenti sono eletti dalla Camera e due dal Senato. Il costituzionalista Stefano Ceccanti, già deputato Pd, ha suggerito di introdurre «un quorum dei tre quinti del Parlamento». Avs è d’accordo: «Èevidente — ha detto Angelo Bonelli — che sia necessaria una maggioranza qualificata». Gelido il centrodestra: «Quando il Pd era in maggioranza non è venuto in mente a nessuno», ha ricordato il capogruppo di FdI al Senato Lucio Malan.

Il caso politico

La polemica sul Garante nasce dal caso Report. La trasmissione condotta da Sigfrido Ranucci ha accusato gli attuali componenti dell’Autorità di contiguità con la politica e di conflitti d’interesse. Per primo, nel mirino è finito un componente del collegio, Agostino Ghiglia, per i suoi rapporti con FdI, che Report collega alla multa inflitta dal Garante alla trasmissione dopo aver mandato in onda un audio fra l’ex ministro Gennaro Sangiuliano e la moglie. «La narrazione di un Garante subalterno alla maggioranza di governo — ha detto Stanzione — è una mistificazione che mira a delegittimarne l’azione, specie quando le decisioni sono sgradite o scomode. Il Garante assume decisioni talvolta contrarie, talvolta favorevoli al governo, è questa la vicenda dell’autonomia». Fra i più convinti sostenitori di un cambio di metodo per l’elezione dell’Autorità c’è il senatore Pd Dario Parrini, vicepresidente della commissione Affari costituzionali. «Sarebbe una scelta di buonsenso — ha spiegato — fissare la regola per cui non si può diventare membri di un’Autorità indipendente se non si ottiene l’approvazione di almeno i tre quinti degli aventi diritto, come avviene per i membri laici della Corte Costituzionale, o dei votanti, come avviene per i membri laici del Csm». Parrini ha ricordato lo stato dell’arte: nel 2020, quando a Palazzo Chigi c’era Giuseppe Conte alla guida di un governo di centrosinistra, «i due componenti dell’attuale Garante della Privacy eletti al Senato, Ghiglia e Stanzione, ottennero appena 123 e 121 voti, cioè un consenso di meno del 40% degli aventi diritto. I due eletti dalla Camera, Guido Scorza e Ginevra Cerrina Feroni, con appena 237 e 209 voti, vale a dire col consenso rispettivamente del 33% e del 37% degli aventi diritto».

Lo scontro

Le opposizioni, comunque, continuano a chiedere lo scioglimento dell’Autorità. Di «azzeramento» parla Giuseppe Conte a DiMartedì. «Non ha più credibilità per andare avanti», ha detto invece il capogruppo M5S in Senato Stefano Patuanelli. Ma né il governo né il Parlamento possono intervenire. Il passo indietro può arrivare solo per scelta dei diretti interessati. «L’unica ipotesi — ha ricordato il giurista, già presidente Rai, Roberto Zaccaria — è che la maggioranza dei componenti, quindi tre su quattro, si dimetta. Altre non ne vedo in questo momento. Credo che sia un atto un pressing». Per l’eurodeputato Sandro Ruotolo, responsabile Informazione del Pd, è una situazione paradossale: «Abbiamo la possibilità di far dimettere il Capo dello Stato — ha detto — ma non il collegio del Garante della privacy. Intanto serve un passo indietro, e poi vediamo insieme quello che si può fare, se serve cambiare la legge per la scelta del garante. Anche se sui precedenti presidenti nessuno ha avuto da ridire. Il tema è la qualità di questi signori». 


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