01.06.2025
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Technology

«I regolamenti Ue stanno danneggiando lo sviluppo dell’IA»


«I regolamenti Ue stanno danneggiando lo sviluppo dell’IA. L’Europa rischia di rimanere indietro». Non usa mezzi termini Markus Reinisch, dal 2018 vicepresidente per le Politiche pubbliche di Meta in Europa. Da ieri, la società di Mark Zuckerberg addestra il suo modello di intelligenza artificiale con i dati degli utenti europei. L’azienda sta infatti puntando moltissimo nella corsa al nuovo El Dorado tecnologico dell’IA, per competere con altre realtà americane e cinesi, prime fra tutte OpenAI e Deepseek. Gli utenti europei di Instagram e Facebook che non hanno compilato un modulo entro lo scorso lunedì, possono ancora farlo e rifiutarsi di concedere l’uso dei propri dati per addestrare l’IA, ma senza effetto retroattivo. Ma per Reinisch, che abbiamo incontrato nella sede di Binario F a Roma (uno spazio di Meta dedicato a startup e innovazione), il problema è un altro. «Per avere il via libera dall’Ue ad addestrare il nostro modello ci è voluto più di un anno. In Gran Bretagna abbiamo ottenuto l’autorizzazione in cinque settimane. Queste tempistiche non sono possibili», ci dice il 54enne austriaco di base a Londra.

Quindi secondo lei i regolamenti stanno frenando l’IA in Europa?
«Sì. Esistono modelli di IA avanzatissimi ma noi qui non possiamo utilizzarli, a differenza di altri, come Stati Uniti e Cina. Non riguarda solo Meta, ma anche Apple, Microsoft, OpenAI, persino X: tutti i loro modelli e dispositivi arrivano in ritardo o in forma diversa in Europa. Senza considerare che non siamo nemmeno noi europei a produrli, eppure potremmo: abbiamo talenti enormi in Europa. In proporzione, abbiamo lo stesso numero di startup degli Stati Uniti, ma non riusciamo a trattenerle: o falliscono o si trasferiscono negli Usa».

Ed è solo un problema di regolamentazione?
«Ci sono tre motivi principali. Il primo è che in Europa siamo abituati a vedere più i rischi delle opportunità. Basti pensare, appunto, alla regolamentazione: abbiamo più di 100 regolamenti digitali, oltre 70 stilati solo negli ultimi sei anni. Non esiste nulla di simile altrove. Il secondo motivo è la totale mancanza di leadership: abbiamo oltre 270 autorità di regolamentazione in Europa. Come si può permettere una tale frammentazione? Il terzo punto, forse il più controverso, è che negli ultimi anni il protezionismo si è infiltrato nella regolamentazione. L’Europa è stata brava a stabilire standard regolatori, ma poi ha iniziato a usarli per proteggere interessi economici».

Si riferisce alla regolamentazione del digitale usata come risposta alle tariffe imposte dal presidente Trump?
«Sì. È una forma di discriminazione».

Di recente l’Ue ha multato Meta per 200 milioni di euro per violazioni del regolamento sui mercati digitali Dma, ovvero per non offrire agli utenti la possibilità di scegliere un servizio che utilizzi meno dati personali.
«È un danno per i consumatori europei, poiché la pubblicità personalizzata consente alle persone di utilizzare servizi come Facebook e Instagram gratuitamente. Ma è un danno anche per le imprese europee, che con quella pubblicità alimentano la propria crescita economica».

Stiamo vivendo l’età dell’oro, per usare un termine caro a Trump, dell’IA?
«Il settore tecnologico è importantissimo per gli Usa e l’IA è il prossimo passo. Noi di Meta vogliamo essere leader in questo campo. Il nostro modello LLaMA è open source. Ha avuto 1,2 miliardi di download. Lo usano università, governi, aziende».

E adesso la state addestrando con i dati pubblici degli utenti europei.
«Sì, ma le autorità europee ci hanno messo 15 mesi per approvare la nostra richiesta. Stiamo perdendo delle occasioni. Gli Stati Uniti si sono sentiti discriminati e ora cercano nuovi partner, come Emirati Arabi e Arabia Saudita. E poi c’è anche un rischio: chi definirà gli standard dell’IA? Se non saremo noi, sarà DeepSeek, o Alibaba, o altri».

Come funziona la raccolta dei dati per addestrare l’IA di Meta?
«Si addestra solo con dati pubblici di utenti maggiorenni su Instagram e Facebook, mai su WhatsApp, dove tutte le conversazioni sono crittografate».

Pensa che i cittadini siano abbastanza informati e consapevoli sui loro diritti riguardanti la privacy?
«Credo che le persone sappiano che i dati sono necessari per fornire servizi e vedono un beneficio nel concederne l’uso. Credo però che non sappiano davvero l’effetto che troppe restrizioni sull’utilizzo dei dati personali possano avere. Tornando all’IA: se alleni i sistemi senza dati europei, quelli funzioneranno seguendo riferimenti culturali americani o cinesi. I nostri modi di dire, di ridere e di comunicare spariranno: stiamo distruggendo la nostra eredità storica e culturale».

Negli ultimi anni abbiamo assistito a un cambiamento di Dna da parte di Meta. Il metaverso, che un tempo era tra le priorità dell’azienda, sembra essere stato sostituito dallo sviluppo dell’IA. È così?
«No. Fin da quando Zuckerberg ha iniziato a riflettere sul futuro di Internet, è sempre stato chiaro che ci sarebbero state due tecnologie fondamentali e trasformative: una è l’intelligenza artificiale, l’altra è una nuova interfaccia utente, che non sia uno schermo, ma qualcosa di immersivo. IA e metaverso fanno parte dello stesso sistema, l’IA è il motore del metaverso. E mi lasci dire una cosa».

Prego.
«C’è un fortissimo legame con l’Italia. Questo Paese, a livello politico e tecnologico, sta assumendo un ruolo centrale. Sta cercando di costruire ponti tra Stati Uniti ed Europa, e il lavoro diplomatico di Giorgia Meloni è molto importante. L’Italia ha aziende straordinarie nel campo dell’innovazione, e forse ha quella di hardware più significativa per l’IA, perché produce il dispositivo IA più diffuso al mondo, ovvero gli occhiali Ray-Ban Meta. Mark Zuckerberg una volta disse che Luxottica potrebbe per l’Italia avere un ruolo simile a quello che Samsung ha avuto per la Corea del Sud. La famiglia Del Vecchio è una delle più visionarie in assoluto, ed è grazie a Leonardo, il precedente proprietario purtroppo scomparso, che è nata l’idea di andare oltre gli smartphone».

Pensa che dispositivi come gli smart glasses sostituiranno gli smartphone?
«Ne sono convinto. Stiamo sviluppando Orion, degli occhiali che offrono schermi immersivi a colori, dove si può interagire sia con il mondo fisico sia con quello virtuale. Si potrà interagire anche con un dispositivo che misura gli impulsi elettrici del polso: puoi alzare il volume o altro solo con i movimenti della mano. Quando indossi dispositivi simili, non puoi più tornare indietro».

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