La morte di Matteo Franzoso, avvenuta sulle nevi cilene di La Parva, ha sconvolto il Circo Bianco e riaperto il dibattito sul tema della sicurezza sugli sci. L’ex campione azzurro Kristian Ghedina, vincitore di 13 gare in Coppa del Mondo e tra i più forti discesisti della storia, invoca cambiamenti importanti negli attrezzi degli atleti (“troppo veloci”) e punta il dito sulle piste di allenamento estive (“le più pericolose”).
Kristian, conosceva Franzoso?
«Sì, anche se non eravamo andati oltre il “ciao”. Però era un ragazzo solare, si vedeva. È un peccato quando succedono questi incidenti, figuriamoci per uno che ti sta simpatico da subito. Ho provato grande dolore».
Come si può intervenire sulla sicurezza?
«Faccio una premessa: purtroppo, la sicurezza totale non potrà mai esserci. Eliminare del tutto il rischio non è possibile, ma bisogna fare qualcosa. Innanzitutto, bisogna fare una marcia indietro sui materiali, perché gli sci sono troppo veloci, specie in curva. È ora di cambiarli. E poi vanno migliorate le protezioni, le reti e le vie di fuga».
Come ha spiegato la Fisi, Matteo andava veloce ed è stato “sbalzato” per un “piccolo salto”.
«Su quelle nevi mi sono allenato anch’io. Forse ha preso una traiettoria sbagliata, non so. Ma bisogna aumentare gli spazi di fuga e rendere più sicure le piste di allenamento estive, le più pericolose. Queste vengono sistemate dagli allenatori e da qualche addetto locale, dunque non sono certo come quelle allestite da chi organizza le tappe di Coppa del Mondo. Per questo, le federazioni devono mettersi attorno a un tavolo per contribuire di più economicamente».
Dopo la morte di Matilde Lorenzi, la federazione internazionale di sci ha reso obbligatori gli airbag nelle gare veloci. Secondo lei, bisogna renderli obbligatori anche in allenamento?
«Sì, sarebbe un passo in avanti. Ma poi qualcuno dice che il dispositivo dà fastidio… Io sono stato il primo a portare il paraschiena nel mondo dello sci. L’ho provato la prima volta nel 1995 con il progetto Dainese, di cui sono testimonial. E sono fiero e orgoglioso perché adesso è diventato obbligatorio».
Cosa si può fare per proteggere di più la testa degli atleti?
«Si potrebbe coprire il volto, ad esempio, con la mentoniera. Una volta la usavano Daniel Mahrer e Pirmin Zurbriggen. Il casco, però, non può essere appesantito come ad esempio quelli dei piloti della F1 o della MotoGP. Con le sollecitazioni che hai sciando nelle curve rischi di spezzarti l’osso del collo perché devi sopportare un peso di un chilo e mezzo o due».
Nello sci, in allenamento si arriva anche a toccare i 120 km/h.
«Avevo sentito una volta che quando tu fai un impatto frontale contro un muro o un albero il corpo umano può sopportare una velocità fino a 40 km all’ora. Sopra i 40 km/h si muore. Quindi non è che bisogna per forza andare a cento all’ora per ammazzarsi. Mia madre è morta sciando in una caduta stupida quando avevo 16 anni e mio padre ha passato tutta la mia carriera con il terrore che mi succedesse qualcosa».
Lo sci è uno sport pericoloso?
«Io ero affascinato dalla velocità e anche dal rischio. Alla gente piace. Quando un atleta decide di fare questo sport, lo deve tenere a mente. Nella discesa libera cancellare il rischio al cento per cento è impossibile, ma bisogna fare di più per aumentare la sicurezza».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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