Canadesi di origini italiane, ultimi di nove fratelli, Dean e Dan Caten sentono da subito che la moda è nel loro dna. Il padre, arrivato da Casalvieri (Frosinone), ha un negozio di tessuti a Toronto, ma loro prima cambiano nazione: studiano moda alla Parsons School of Design di New York; poi approdano a Milano. Fondano Dsquared2 nel 1995 e inizia il successo planetario, che parte da una moda maschile ispirata al mondo cowboy, per poi estendersi all’universo femminile. Fino alle star che si innamorano del loro stile, da Madonna a Doechii, che ha sfilato e cantato a febbraio alla passerella milanese per il trentesimo anniversario. Senza dimenticare le collaborazioni con lo sport, dalla Juventus a Ibrahimović.
L’intervista
Il trentennale sta per finire. Come è iniziato tutto?
«Fin da bimbi sapevamo che avremmo voluto fare un lavoro creativo, la moda è diventata il linguaggio naturale e potente. Nei nostri capi ci sono influenze da musica, danza, teatro, cultura pop. La moda ci ha dato la possibilità di costruire un’identità, ma anche di divertirci».
Quando è nato Dsquared2?
«Siamo arrivati in Italia nel 1991 e nel 1995 è nato Dsquared2 a Milano. Dsquared2 non è solo un logo: è la nostra essenza. La prima “D” è Dean, la seconda è Dan. In inglese “squared” è “al quadrato”: non siamo una semplice somma, ma una moltiplicazione, un’energia creativa elevata alla potenza. Ecco perché abbiamo aggiunto il numero “2”. Quel “2” rappresenta noi e la dualità del nostro lavoro: born in Canada, made in Italy, sartorialità mixata a casualwear, maschile e femminile e così via. Siamo un brand che ama giocare con i contrasti. Forse è grazie a questo che siamo riusciti a ritagliarci il nostro spazio nel sistema moda».
All’inizio eravate molto wild, poi si sono aggiunti innesti glamour. Tre passaggi fondamentali?
«Abbiamo fondato Dsquared2 con la moda maschile perché in Italia dominava una moda classica e noi volevamo dare un punto di vista diverso dell’uomo contemporaneo. La linea femminile ci ha fatto esplorare nuove visioni creative. Altra pietra miliare, il primo flagship store a Milano, quasi una “casa” nella città in cui abbiamo fondato il nostro brand. Infine, il lifestyle, tra i primi a Milano, con Ceresio7 Pools & Restaurant e Ceresio7 Gym & Spa. Dsquared2 non è solo moda, ma il nostro stile di vita».
Tre persone che hanno “costruito” con voi Dsquared2?
«La nostra musa Julie Enfield (fotografa e modella canadese ndr), da bambini ci ha preso sotto la sua ala protettiva e ci ha fatto capire che la moda poteva essere il nostro futuro. Ci ha dato la forza per farci diventare ciò che siamo. Luke Tanabe, founder di Ports, ci ha insegnato che oltre alla creatività contano business, organizzazione, immagine. Jamie King, nel 2000 coreografo di Madonna per il video Don’t Tell Me. Eravamo a casa sua a Los Angeles e per ringraziarlo gli regalammo un paio di jeans. Madonna li vide e ci chiesero di creare capi per il video. Seguì il Drowned Word Tour del 2001: Madonna e i ballerini indossavano Dsquared2».
Quando vi siete siete detti: ce l’abbiamo fatta, siamo famosi?
«Probabilmente proprio con Madonna. Dopo abbiamo firmato abiti per i tour di Britney Spears, Rihanna, Christina Aguilera, Michael Bublè, Justin Bieber e tanti altri, fino a alla grande Doechii».
Un «grazie» speciale?
«A collaboratori, artisti, creativi e icone che hanno sviluppato il nostro stile e visione, fino alle diverse generazioni che ci hanno accompagnato o si sono avvicinate di recente a noi, confermandoci che stiamo percorrendo la via giusta. Il pensiero speciale all’amica Julie Enfield: ha subito creduto in noi».
Come si conquista la fedeltà dei clienti?
«Bisogna impostare un rapporto di fiducia basato su autenticità e coerenza. Saper stare al passo con i tempi senza però tradire i valori e l’identità del marchio».
Siete andati alla camera ardente di Armani. Cosa vi ha insegnato?
«È stato e sarà per sempre il Signore dei Signori. Mister Armani è stato un vero leader nella nostra industria — un visionario il cui impatto è stato immenso. Pur essendo un gigante nel mondo della moda, ha sempre portato con sé grazia e umiltà. All’inizio del nostro percorso, si prese il tempo di notarci e di esprimere un sincero interesse per il nostro lavoro. Quel gesto ci ha toccati profondamente. Ci ha insegnato cosa vuol dire avere vera forza creativa, qual è la disciplina necessaria se ci si vuole dedicare a qualcosa di importante e qual è la costanza che viene richiesta nel nostro lavoro. Ci mancheranno la sua generosità, il suo sostegno e la sua forza silenziosa».
Essere in due, vantaggio o limite?
«Un vantaggio. Una signora una volta ci ha paragonati a un uccello dicendo: Dean è le ali, Dan è i piedi. Non puoi volare senza le ali e non puoi atterrare senza i piedi. È un costante “ping-pong creativo”».
Le sorprese del 2026?
«E se le sveliamo che sorprese sono? Anticipiamo che vogliamo aprirci sempre di più al lifestyle».
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