Meglio tardi che mai. Da quando è cominciata l’era Friedkin mai un allenatore ha potuto contare su un dirigente che potesse schermarlo nei momenti di difficoltà. Lo avrebbe voluto Mourinho dopo la maledetta finale di Europa League; sarebbe stato utile a De Rossi per fargli vivere in serenità la sua prima grande esperienza da tecnico; magari anche Juric ne avrebbe beneficiato. A distanza di quasi cinque anni, e con alle spalle tanti errori di gestione, finalmente è arrivato Ranieri che, dopo aver guidato la Roma in panchina per sette mesi, veste i panni del dirigente. Panni nei quali si è calato già benissimo. La sua prima uscita pubblica, per una curiosa coincidenza, è avvenuta il 17 giugno: giorno di San Ranieri e anniversario dello Scudetto del 2001. Un altro scherzo del destino. Tutti durante la conferenza stampa lo chiamano senior advisor, la sua carica ufficiale, ma l’impressione che ha dato accanto a Gasperini è quella del direttore generale. Uno alla Giuseppe Marotta, che però nell’Inter è presidente del Cda, con facoltà decisionali e libertà di scelta. Ovviamente, deve sempre rendere conto alla proprietà, ma la sua opinione ha un peso. E anche molto rilevante.
Ha deciso lui di ingaggiare Gasperini, ha convinto Svilar a restare ed ha avuto un ruolo anche nella risoluzione del contratto di Ghisolfi. La mossa di dargli carta bianca è una delle migliori fatte dalla proprietà Usa nella gestione dell’area dirigenziale: un uomo di calcio, Claudio, che ne affianca un altro, Gian Piero, e che dà libertà all’allenatore di fare esclusivamente il tecnico. Di dedicarsi ai calciatori, alla loro crescita ed evoluzione. Non più un uomo immagine, chiamato a difendere la società, a dare spiegazioni e a occuparsi di questioni che non competono all’area sportiva. Per quello ci sarà Claudio, serio, posato e senza troppi sorrisi, come è apparso ieri a Trigoria.
L’EMPATIA
Ha centellinato le parole, ma quelle pronunciate hanno comunque lasciato il segno. Come la risposta sul suo rifiuto ad allenare la Nazionale: «Si è detto tanto, tenetevi quello. Da parte mia non dico nulla. Rispetto l’Italia, ma sono della Roma». Oppure, nell’entrare in empatia con tutti quei tifosi della Roma che non hanno ancora metabolizzato l’arrivo di Gasperini in panchina: «Era antipatico anche a me. Ho fatto il suo nome tra i tanti perché sono convinto che Roma abbia bisogno di una personalità forte, che non si accontenta mai, sempre incavolato e che vuole migliorare. Non sarà facile e per questo gli offriamo un anno per farsi capire. I tifosi ci devono stare dietro, come hanno fatto con me. Il mio rapporto con lui sarà quello di un amico che sta da una parte e ha il compito di risolvere i suoi problemi. Alla fine del triennio vogliamo stare stabilmente in Champions League e se c’è l’occasione vincere il campionato». Prova a dare nuovi stimoli all’ambiente rivalutando la qualificazione in Europa League: «Non faccio come la volpe che arriva all’uva e dice che è acerba, ma dentro di me ho pensato che se fossimo andati in Champions avremmo incontrato 6 squadre inglesi, 5 spagnole, 4 tedesche e forse non siamo ancora pronti. Siamo però più agguerriti sull’Europa League». Insomma, Claudio richiede pazienza alla piazza, garantisce per il nuovo tecnico e traccia la strada dei prossimi tre anni. Fa quello che deve fare un dirigente. E se a Trigoria a farlo è San Ranieri allora c’è da fidarsi. Non a caso, il 17 giugno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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