Nella casella mail dei tecnici di Palazzo Chigi è atterrato da qualche giorno il testo di un decreto che farà parlare di sé, dentro e fuori il governo, al rientro dalla pausa estiva. Riforma il ministero della Difesa. Cambia le regole per nominare le alte sfere militari. Ma soprattutto entra in un terreno politicamente assai delicato, su cui da tempo è in corso un “derby” fra diversi apparati dello Stato: la cybersecurity. Ovvero l’accesso ai dati sensibili di centinaia di pubbliche amministrazioni, aziende partecipate e private che lo Stato italiano considera “essenziali” per il lavoro che svolgono. Andiamo con ordine.
Nella bozza di decreto, riferiscono diverse fonti qualificate al Messaggero, c’è un articolo apparentemente di natura “tecnica”, in realtà molto concreto. Prevede di garantire al ministero guidato da Guido Crosetto l’accesso agli “elenchi” dei soggetti che rientrano nel cosiddetto “perimetro di sicurezza cibernetica”. Sono centinaia. La lista è tenuta segreta.
Si tratta di una lunga schiera di entità, fra cui diverse partecipate che operano nel mondo della difesa e dell’economia, che godono di una tutela speciale dello Stato proprio perché esposte a rischi. Devono mantenere standard altissimi di sicurezza informatica, “blindare” l’accesso ai sistemi interni per scongiurare a tutti i costi intrusioni di hacker che avrebbero conseguenze imponderabili, in termini di perdita di capitale economico e soprattutto di informazioni riservate che fanno gola a nazioni straniere. Si coordinano con i Servizi segreti italiani e l’Agenzia per la cybersicurezza nazionale e se non lo fanno vanno incontro a multe salatissime.
Ad oggi la lista di queste entità è in mano a una ristrettissima cerchia di amministrazioni pubbliche. Palazzo Chigi e ovviamente l’intelligence (Dis e le agenzie Aise e Aisi) e il Viminale. La novità è che ora anche la Difesa chiede di poter monitorare da vicino il “perimetro cyber”. Non una vuota pretesa, sostiene da tempo Crosetto e chi lavora con lui ai vertici del comparto, ma «una necessità». Da mesi l’Italia è al centro di una guerra cibernetica che non conosce confini. Il sostegno all’Ucraina rivendicato dal governo Meloni ha presentato un conto salato sotto forma di una violenta campagna di hacker riconducibili al Cremlino che ha colpito i siti istituzionali e gli apparati italiani ed è stata a sua volta colpita: grazie a un’operazione internazionale a cui ha preso parte l’Italia l’ormai famigerato collettivo “No-name”, gruppo di criminali digitali affiliato alla Russia che ha messo a segno decine di colpi contro istituzioni italiane, è stato smantellato.
Ebbene, a fronte di questo contesto il ministro di FdI a capo di Palazzo Baracchini rivendica un ruolo più incisivo della Difesa nel settore cibernetico perché, aveva chiarito in Parlamento a inizio anno, «bisogna esserci, presidiare, misurare costantemente le posture malevole e quindi contrastarle». Di qui il tentativo di aprire una finestra nel nuovo decreto. Una lunga bozza che «dovrà essere esaminata, da cima a fondo» fanno sapere da Palazzo Chigi. Pausa. «Anche dalla premier». Come a dire: calma e gesso, perché è materia sensibile e senza un accordo politico non si va da nessuna parte.
Già in aprile, come anticipato da questo giornale, c’era stato un “blitz” per affidare alla Difesa i registri della cybersecurity e a seguire un sonoro “altolà” dalle stanze che affacciano su Piazza Colonna. C’è da scommettere che il dossier tornerà caldissimo in autunno, come il “derby” tra Difesa e il mondo della Sicurezza — che fa capo al sottosegretario Alfredo Mantovano — sul campo cibernetico. Allargato al fronte dell’Intelligenza artificiale, come ha scritto il Corriere. E sono da mettere in conto altri stop and go.
MILITARI COME GLI AGENTI
Anche perché le novità non finiscono qui. Due proposte di legge in Parlamento, firmate rispettivamente dal forzista Giorgio Mulè (che di Difesa si intende, è stato sottosegretario) e dalla deputata di FdI Chiesa propongono di estendere ai militari che si occupano di operazioni cyber — in particolare il Cor, Comando operazioni in rete — le “garanzie funzionali” di cui godono oggi gli agenti segreti italiani. Che vuol dire? Detta in parole semplici, la possibilità di commettere reati senza essere indagati nel corso di operazioni delicate. Ad esempio, per colpire e smantellare con un attacco informatico (attenzione: attacco) un gruppo hacker straniero considerato una minaccia. Inutile dire che queste proposte sono viste con occhio benevolo dalla Difesa, assai meno a Palazzo Chigi. Tasselli dello stesso puzzle.
Il decreto in gestazione, si diceva, interviene anche sulle nomine militari apicali. Con un importante accentramento decisionale. Per i vertici delle Forze Armate — generali di brigata, divisione e corpo d’armata — deciderà una commissione interforze fra Marina, Esercito e Aeronautica integrata da un membro del gabinetto del ministro. Non più, dunque, i singoli Stati maggiori. Una piccola rivoluzione, per ora scritta solo a matita. A settembre il match riparte.
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