La professoressa Milena D’Angelo insegna Fisica al Dipartimento interuniversitario di Fisica dell’Università di Bari e coordina il gruppo di tecnologie quantistiche.
Dopo un dottorato di ricerca negli Stati Uniti, all’Università del Maryland Baltimore County, è tornata in Puglia e, anche lei, fa ricerca nel mondo dell’ottica quantistica e dei fotoni.
Professoressa, cosa vuol dire oggi occuparsi di ottica e dell’uso della luce?
«L’ottica sta giocando un ruolo molto importante in diversi scenari, dalla sicurezza alle comunicazioni, dalla sensoristica alla microscopia. Un esempio di rilievo è quello legato alla possibilità di guardare attraverso i muri, ora realtà grazie allo sviluppo tecnologico di sorgenti, sensori e capacità di calcolo. Ora siamo nell’era della seconda rivoluzione quantistica».
Che significa?
«La seconda rivoluzione quantistica sfrutta sistemi di fotoni o atomi correlati e, grazie alle sorgenti laser e ai rilevatori della prima rivoluzione quantistica, sta sviluppando tecnologie capaci di superare i limiti imposti dalla fisica classica, o talvolta di realizzare tecnologie altrimenti irrealizzabili».
Gli occhi, la fotocamera di un cellulare, permettono di vedere secondo i principi della fisica tradizionale. La fisica quantistica, quindi, va oltre?
«Sì, normalmente siamo abituati a scattare una fotografia usando la luce che colpisce l’oggetto che ci interessa e una lente che colleziona la luce dall’oggetto e la focalizza su un sensore, a cui chiediamo di avere un’elevata densità di pixel che ci permettono di vedere i dettagli fini dell’oggetto. Sfruttando le correlazioni quantistiche tra fotoni possiamo guardare l’oggetto con un sensore dotato di un solo pixel e riuscire comunque a ricostruire l’immagine dell’oggetto moltiplicando il segnale di questo pixel con quello di una macchina fotografica che guarda soltanto alla sorgente di luce e che non raccoglie luce dall’oggetto. Riusciamo a vedere senza guardare. Addirittura l’oggetto può essere sensibile alla luce infrarossa, ma ricostruiamo l’immagine nel visibile».
La fisica quantistica conosce il concetto di entanglement, cioè di particelle gemelle, intrecciate. È questo il sistema che si può usare per vedere ciò che un tempo era invisibile?
«Sì, proprio il fenomeno del ghost imaging, di un’immagine fantasma, è stata una delle prime applicazioni tecnologiche dell’entanglement. La fisica quantistica ha tolto alcune grandi certezze della fisica classica e introdotto concetti controintuitivi; la seconda rivoluzione quantistica li sfrutta per sviluppare nuove tecnologie».
Il futuro ci riserva molte novità proprio grazie ai fotoni, alla base di tanti esperimenti nell’ottica. Ma è possibile spostarli senza trasportarli fisicamente da un luogo all’altro?
«È possibile grazie al teletrasporto quantistico, una delle applicazioni più sorprendenti dell’entanglement. È stato realizzato alla Sapienza di Roma e a Innsbruck alla fine degli anni Novanta, usando i fotoni. Dopo pochi anni si è passati a teletrasportare anche atomi. Anche nell’imaging quantistico si sta andando in questa direzione, usando elettroni invece che fotoni per produrre immagini a risoluzione molto più alta. Abbiamo iniziato a lavorare anche nella direzione di realizzarlo con i muoni cosmici, particelle elementari prodotte dall’interazione dei raggi cosmici con l’atmosfera. Questo consentirebbe di fare ghost imaging guardando attraverso montagne o piramidi».
Ci sono altri usi che potranno essere fatti nella vita di tutti i giorni di questi sistemi basati sull’entanglement?
«Una delle opportunità che ci offrono è avere scambi sicuri. Pensiamo alle chiavi di cifratura. Giusto per fare un esempio, oggi usiamo chiavi con numeri lunghi, difficili da codificare. Con i sistemi entangled si ha la possibilità di creare e condividere chiavi crittografiche in linea di principio impossibili da codificare. L’altro grande settore è quello della computazione quantistica. Le tecnologie quantistiche di seconda generazione saranno utili per diverse attività, dal micro al macro, dall’osservazione della terra dallo spazio (essenziale per il monitoraggio ambientale) all’ambito biologico e biomedicale, quindi dalla sanità alla sicurezza alimentare. Le tecnologie che stiamo sviluppando all’Università di Bari consentono di ricostruire immagini tridimensionali ad alta risoluzione e basso rumore, senza fare scansioni».
G.Val.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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