I conti non tornano. A poche ore dalla partenza del primo bus che porterà via e metterà in salvo gli italiani presenti in Iran, Giorgia Meloni riunisce a Palazzo Chigi i vertici dell’Intelligence, i due vicepremier, il responsabile della Difesa Crosetto e il ministro dell’Interno Piantedosi, videocollegato dalla Sicilia. Sul tavolo la guerra che incendia Iran e Israele, ma anche la ripresa degli sbarchi sulle nostre coste di immigrati in arrivo dalla Libia, con Tripoli tornata a vivere giornate esplosive, il rischio che scoppi la guerra civile dietro l’angolo. Nella stanza della premier si fa il punto a 360 grandi, mettendo tutte le informazioni in fila. A partire da quelle raccolte dai nostri Servizi segreti. Nelle stesse ore il bus con gli italiani che si stanno lasciando l’incubo della guerra alle spalle è in viaggio. Fermo al confine, a vertice in corso, in attesa che chi è a bordo si sottoponga a tutti i controlli del caso. Ma c’è un dato su cui si ragiona attorno al tavolo della presidente del Consiglio: i connazionali che hanno preso posto sul mezzo sono meno di quelli attesi, vale a dire di quelli che si prevedeva di mettere in sicurezza. L’operazione in corso non è una vera e propria evacuazione, ma un’assistenza prestata a chi vuole allontanarsi dall’Iran, dal Paese degli ayatollah su cui da una settimana ormai continuano a piovere bombe. Senza sosta.
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PUNTO DI RACCOLTA
Al punto di raccolta organizzato con la regia della Farnesina gli italiani arrivati, entusiasti di lasciare finalmente Teheran ma sconvolti da un’esperienza destinata a marchiarli a vita, sono meno di quelli che ci si aspettava di trovare. In molti casi — la lettura che emerge nel corso della riunione — alcuni connazionali si sono organizzati in solitaria, diversi lasciando il Paese e spostandosi su Istanbul. Ma ci sono anche degli italiani che hanno avuto difficoltà a raggiungere il punto di raccolta: non deve essere semplice, del resto, muoversi mentre dal cielo potrebbero tornare a colpire e la terra brucia, gli edifici ridotti in macerie. Anche per questo, l’autobus messo a disposizione non sarà l’unico: già si sta lavorando alla partenza di un secondo mezzo.
Nella riunione si fa il punto anche sull’incontro a Ginevra tra Teheran e l’Europa, ma nessuno dei presenti ignora che la parte del leone la facciano gli States. E il fatto che Trump si sia preso due settimane di tempo per decidere se entrare in guerra o meno alimenta la convinzione che la situazione, seppur estremamente critica, non dovrebbe precipitare nell’immediato. Con Teheran rasa al suolo in una manciata di giorni. La speranza è per la ripresa dei negoziati, una de-escalation in cui tutti gli europei confidano ma che fatica a prendere forma. IL DOSSIER LIBIA
Al vertice viene affrontato anche il dossier Libia, con i numeri degli sbarchi in aumento, complice il governo Dabaiba che barcolla. Dall’Aise arrivano rassicurazioni: non dovrebbero esserci accelerazioni della crisi libica, il pericolo reale di una guerra civile nell’immediato. Per questo la linea che emerge dalla riunione è quella di tornare a stringere le maglie. Vale a dire fare pressione affinché il Memorandum con la Libia venga rispettato, senza distrazioni o tentennamenti. Ma anche coordinandosi con gli altri attori dell’area — turchi, emiratini, francesi, qatarini — per gestire il processo di stabilizzazione del Paese, vigilando sulla fase transitoria che Tripoli sta attraversando. Con Roma che tiene alta la guardia sugli asset da tutelare nell’area — si pensi solo ai pozzi petroliferi dell’Eni — business che hanno avuto un ruolo anche nel rilascio del torturatore del carcere-lager di Mitiga, Najeem Almasri. Infine il dossier difesa, a una manciata di giorni dal vertice della Nato che vedrà atterrare all’Aia anche l’Air force one con Donald Trump a bordo. Dalla riunione emerge un cauto ottimismo: la possibilità di spalmare la spesa in 10 anni e di non doversi attenere a quote fisse anno per anno viene considerata una partita già chiusa, con il placet degli americani. Salvo colpi di scena, che, con il tycoon in campo, più che una possibilità appaiono una drammatica certezza.
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