Due matasse gemelle, lontane dall’essere sbrogliate. Che passano per due figure ingombranti, due recordman di preferenze con i quali a destra e a sinistra bisogna fare i conti. Sono i destini incrociati di Luca Zaia e di Antonio Decaro a tenere banco in queste ore. Con il governatore del Veneto che ieri a Venezia ha incontrato Matteo Salvini. E l’ex sindaco di Bari che ancora non scioglie la riserva sulla corsa alle regionali pugliesi. Ma procediamo per gradi.
Partiamo dal Veneto e del faccia a faccia Salvini-Zaia, anticipato dal Messaggero e arrivato dopo mesi di silenzio tra i due, con il Doge che aveva lamentato ai suoi di essere stato «lasciato a bagnomaria», con la doppia incognita del nome destinato a succedergli a Palazzo Balbi e sul suo futuro personale. Il leader della Lega avrebbe assicurato di essere fiducioso: la premier lascerà che sia ancora il Carroccio a guidare la Regione che Zaia timona da 15 anni. «Ma siamo a bocce ferme, Luca. Nulla è stato deciso…», e il vertice di maggioranza per sciogliere i nodi non ancora fissato. Il timore, che i due condividono, è che la presidente del Consiglio voglia attendere il voto nelle Marche di fine settembre. Ovvero vedere se il suo candidato, Francesco Acquaroli, la spunterà oppure sarà costretto a lasciar la poltrona da governatore a Matteo Ricci, visto che, stando ai sondaggi, la partita tra i due sarebbe aperta. Anzi, apertissima. A frenare poi, maliziano insieme Zaia e Salvini, il tradizionale appuntamento sul pratone di Pontida del 21 settembre: presentarsi al popolo della Lega con il nome del candidato in Veneto in quota Carroccio e i passi avanti sull’Autonomia sarebbe un win-win difficile da mandar giù per gli alleati. Meloni compresa.
Quanto alla lista Zaia, con il Doge che lotta nella convinzione di avere dalla sua un surplus di voti che servono, Salvini lo avrebbe rassicurato: «la battaglia è aperta, non mollo», nonostante sia Fi che Fdi remino ostinatamente contro. Certo, se la Lega dovesse spuntarla sul nome del candidato sarà difficile, o meglio impossibile, portare a casa anche la lista Zaia. Ma se alla fine Salvini si vedesse costretto a cedere a Fdi, allora la battaglia per una lista “cattura voti” diventerebbe irrinunciabile per lo stesso segretario. Bocche cucite a Venezia come a Roma sul futuro del Doge, un pezzo da 90 nella Lega. Anche se l’ipotesi più accreditata, stando ai rumors, è un posto alla presidenza dell’Eni, in attesa delle prossime politiche. I boatos raccontano anche di un chiarimento sul ruolo di Vannacci e dei suoi “team” spuntati sul territorio come funghi, visti con fumo negli occhi in Liga Veneta e osteggiati da Zaia in persona.
Nel centrosinistra, intanto, attorno alla corsa di Decaro va in scena lo psicodramma del Pd. Una «situazione surreale», si sfoga qualcuno tra i dem. Con un candidato che avrebbe tutte «le carte in regola per vincere» ma che si è impuntato sul no alla presenza nelle liste di Avs dell’ex governatore Nichi Vendola. E da lì non si smuove, a costo di rinunciare alla candidatura perché «non sono indispensabile né insostituibile». Stasera l’ex sindaco di Bari è atteso a Bisceglie insieme a Elly Schlein, sul palco della festa dell’Unità del Pd pugliese. Un evento immaginato come rampa di lancio della campagna elettorale, ma la corsa dell’eurodeputato è appesa a un filo. In ogni caso la segretaria questa sera ci sarà. E Decaro? Ieri è ripartito da Bruxelles in direzione Bari. Ma sulle sue intenzioni nessuno si sbilancia. Chi segue il dossier per il Nazareno sfoggia un moderato ottimismo: «Alla fine prevarranno le ragioni della politica e della razionalità». Come dire: Antonio smetterà di fare i capricci.
I SOSPETTI
Di certo però al Nazareno non hanno intenzione di tirarla ancora per le lunghe. Né di fare pressing sui rosso-verdi per sbloccare l’impasse. Qualcuno avanza pure il sospetto che l’ex sindaco in realtà abbia già deciso di non candidarsi, e sia alla ricerca di un pretesto per tirarsi fuori. Con l’obiettivo di sfidare Schlein al prossimo congresso del Pd, che la segretaria avrebbe intenzione di convocare con un anno di anticipo, nel 2026. E cominciare una nuova campagna per il Nazareno due mesi aver vinto in Puglia sarebbe troppo pure per “mister 500mila preferenze”. Una manovra dietro la quale qualcuno vede la “manina” di Matteo Renzi (che nega), altri quella dei riformisti del Pd. Che punterebbero su di lui per meglio negoziare con la segretaria sulle prossime liste per le politiche. Sciocchezze, ribattono i riformisti: è tutta una partita pugliese. Con Decaro che non può dire sì a Vendola perché così il suo veto sugli ex governatori ricadrebbe solo su Emiliano, con cui l’ex sindaco non vuole rompere del tutto. Come se ne esce? «Servirebbe uno scatto di fantasia», scuote il capo a sera un dem. Ma al Nazareno la pazienza è quasi finita.
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