«Basta con l’utilizzo degli alberghi come bancomat. Se servono risorse ai Comuni si trovino altre soluzioni». Per ora è solo una bozza quella che circola in più versioni della riforma dell’imposta di soggiorno sul tavolo della ministra del Turismo, Daniela Santanchè. E per il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, è inaccettabile.
Presidente non crede che la rimodulazione dell’imposta, seppure con un fastidioso aumento, possa migliorare i servizi e avere una funzione “di scopo” come sostiene la ministra Santanché?
«Il primo nodo da chiarire è proprio questo, la destinazione di questi fondi. Perché sulla carta l’imposta di soggiorno già oggi dovrebbe essere una dote destinata al settore. Invece nei fatti non lo è, serve molto spesso a mettere una toppa ai buchi di bilancio dei comuni».
È sostenibile per voi un aumento fino a 25 euro?
«Parliamo di cifre impensabili, fuori dal mondo. Nella bozza in nostro possesso è scritto che se una camera costa più di 100 euro al giorno, imposta di soggiorno può arrivare fino a 10 euro al giorno. Che già è tanto, il 10%. Figuriamoci 25 euro».
Certo, è uno sforzo importante, però il settore sta andando bene e forse un sistema di proporzionalità è più equo.
«La verità è che siamo alle solite. Appena il turismo dimostra di essere il settore in grado di trainare il Pil del Paese — perché questo dicono i numeri — si cerca il modo di tassarlo, invece di sostenerlo. PVorrei ricordare che noi abbiamo appena rinnovato il contratto nazionale di lavoro fino al 2027 e, dunque, abbiamo chiesto agli imprenditori uno sforzo economico per mettere più soldi in tasca ai dipendenti. Ed è inaccettabile che il primo provvedimento ipotizzato dopo questo sforzo sia un incremento dell’imposta di soggiorno. Se il nodo da sciogliere è quello delle risorse dei Comuni, ci sono altre strade possibili».
Quali?
«Gli affitti brevi turistici hanno destinazione abitativa e quindi pagano l’Imu e la Tari come le case. Cominciamo a imporre il cambio di destinazione agli appartamenti turistici usati 365 giorni all’anno a fini turistici. A quel punto pagheranno l’Imu e la Tari come gli alberghi e magari i Comuni non avranno più bisogno di nuove risorse. Non è corretto utilizzare ogni volta gli alberghi come un bancomat».
Provocazioni a parte, forse il vero nodo è la trasparenza sulla destinazione dei fondi? Se almeno andassero a finanziare i servizi sarebbe un po’ più semplice digerire un aumento, purché mini.
«È molto complicato. In alcune grandi città il gettito dell’imposta di soggiorno viene utilizzato per coprire i disavanzi di bilancio. Se invece le risorse andassero in un conto ad hoc destinato al turismo sul quale le associazioni imprenditoriali hanno visibilità, sarebbe diverso. Si eviterebbe di affogare queste entrate, ormai centinaia di milioni di euro, nei bilanci comunali».
A quel punto, sì che si potrebbe finanziare un miglioramento dei servizi.
«Sì ma perché devono pagare sempre gli alberghi? Quando arriva in una città come Roma, è vero che il turista dorme in albergo, ma poi va anche nei ristoranti, prende i taxi, spende nei negozi. Insomma, non è una tassa che paga il turista, questa è una favola. Si tratta di un’imposta a carico delle imprese alberghiere. E del resto, i prezzi delle camere sono al lordo dell’imposta. Ma non vedo perché l’albergo deve essere il punto di raccolta di questi fondi quando non supera il 30% dell’incidenza del costo dell’intera vacanza».
Intende dire che il costo andrebbe spalmato sulle attività a portata di turista? Un po’ complesso.
«Negli Stati Uniti hanno fatto proprio così: hanno istituito una City tax spalmata su tutte le attività che hanno a che fare con il turismo.
Un’imposta sui turisti e non sulle camere, quindi, come invece ipotizza la proposta Santanché.
«Al turista non interessa che la tassa vada o no per il verde urbano. Gli interessa quello che paga. E se deve pagare il 10% in più su una camera da 100 euro, può fare altre scelte. Questo può pesare nella competitività del settore. Senza contare che i prezzi delle camere aumenteranno già per via del rinnovo del contratto. Attenzione, perché il settore sta già scontando un calo importante questa estate».
Le famiglie stanno andando meno in vacanza?
«Dopo un 2023 eccezionale, si stanno sentendo gli effetti della crisi. Tutte le destinazioni balneari stanno andando peggio rispetto ad agosto dell’anno scorso, almeno stando alle prime evidenze. Agosto è il mese degli italiani e degli europei, ma tra tassi e inflazione, le famiglie non riescono più a sostenere il costo di una vacanza. E chi parte ha ridotto i giorni. Ad agosto 2023 gli alberghi erano pieni. Oggi no.
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