Il suo silenzio, Sergio Mattarella, lo ha interrotto solo perché persuaso che l’intervento per l’inaugurazione del terzo Festival delle Regioni e delle Province autonome proprio non potesse essere strumentalizzato. Anche se le «capacità di mediazione e di sintesi» indicate come necessarie dal Presidente della Repubblica per gestire quei «momenti della vita di ogni istituzione» in cui «non è possibile limitarsi ad affermare la propria visione delle cose» difficilmente oggi possono non essere lette con gli occhi dello scontro in atto tra il governo e una parte della magistratura, l’invito ad evitare «solchi e contrapposizioni» non è altro che uno dei messaggi da sempre più cari a Mattarella. Tant’è che il Colle lascia trapelare come le parole del Capo dello Stato, benché generiche, non nascondano duplici interpretazioni. Anche in queste ore convulse che precedono un cdm annunciato come di “rivalsa” da parte dell’esecutivo, non può insomma essere presa in considerazione l’idea che il Quirinale si schieri con qualcuno dei contendenti.
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E infatti chi domanda cosa ne sarà del decreto legge a cui il governo sta lavorando per blindare la lista dei Paesi sicuri verso cui è possibile rimpatriare i migranti irregolari, non otterrà risposte diverse da quelle che prevedono una valutazione totalmente giuridica del testo. L’interlocuzione con palazzo Chigi è costante e dettata dalla necessità — spiega una fonte governativa — di evitare «inutili fraintendimenti». Nel caso di specie più che il diniego di firmare il provvedimento che verrà, i vertici dell’esecutivo temono un’eventuale successivo stop da parte della Corte Costituzionale. Se la norma dovesse lasciare a Mattarella dubbi interpretativi o di attribuzione rispetto al ruolo europeo, il presidente infatti come d’abitudine lascerà l’ultima parola ai giudici costituzionali. Con il rischio concreto che però questa si configuri come la sostanziale fine del modello Albania. Ed è per questo che il filo rosso che connette palazzo Chigi al colle più alto di Roma è sempre ben disteso. Ancor di più ieri perché Mattarella e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano (i cui uffici stanno lavorando al testo che andrà in Cdm assieme a quelli della Farnesina, del Viminale e del ministero della Giustizia) hanno avuto modo di incontrarsi di persona a San Pietro, prendendo entrambi parte alla Messa in cui Papa Francesco è tornato a chiedere pace per il Medio Oriente.
LA CONSULTA
D’altro canto, tornando alle parole del Capo dello Stato pronunciate a Bari, «uno degli intenti» di Mattarella era sollecitare l’elezione del giudice costituzionale di nomina parlamentare chiamato a sostituire Silvana Sciarra (e atteso da oltre un anno). Per martedì 29 ottobre il Parlamento in seduta comune è convocato per la nona volta e tenterà di eleggere il successore di Sciarra, dopo che il centrodestra nell’ultima votazione ha cercato invano di far passare il proprio candidato mentre l’opposizione non ha partecipato al voto. L’appello del Capo dello Stato arriva dopo l’«invito» rivolto l’estate scorsa «con garbo ma con determinazione, a eleggere subito questo giudice» per sanare «un vulnus alla Costituzione compiuto dal Parlamento». Una ferita che ora potrebbe allargarsi se i posti vacanti tra qualche settimana diventassero quattro, dopo la scadenza del mandato del presidente, Augusto Barbera, e dei vice Franco Modugno e Giulio Prosperetti. Il rischio è quello di paralizzare il funzionamento della Corte costituzionale. E questo sì, il Quirinale proprio non può consentirlo.
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