18.05.2025
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Politics

Giorgia Meloni e l’Ursula Von der Leyen-bis: «Farò gli interessi italiani»


Ursula sì, Ursula no. La partita, certo, è molto più complessa di così. Ma in fondo è questa la margherita che dovrà sfogliare la premier italiana Giorgia Meloni da qui a venerdì prossimo, quando l’Europarlamento si esprimerà sul bis a von der Leyen come presidente della Commissione europea. Finché rimarranno due petali.

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IL BIVIO

Votare (in segreto) a favore della popolare tedesca o terremotarla insieme ai franchi tiratori che certamente, e da ogni lato dell’emiciclo, si mobiliteranno nell’ombra dell’urna. Partita ancora aperta, e può sembrare strano, quando mancano ormai pochi giorni al verdetto. Eppure è così: anche a Washington, tra un vertice e l’altro del summit Nato, la presidente del Consiglio ha trovato il modo di mettere testa al groviglio europeo. I Fratelli d’Italia in Ue, guidati da Carlo Fidanza e da Nicola Procaccini, sempre in contatto con la leader, attendono un cenno. Mercoledì, insieme a tutto il gruppo dei Conservatori europei che Meloni presiede, incontreranno von der Leyen. Un vis-a-vis preceduto da una telefonata della premier alla presidente uscente, forse martedì. Intanto la famiglia di Ecr si spacca: francesi, tedeschi e polacchi hanno già annunciato il voto contrario.

È combattuta Meloni. Con i cronisti sotto gli stucchi dell’Hotel St Regis, prima di ripartire verso Roma, si è mostrata aperturista. Da capo dei Conservatori, dice lei, «ascolteremo cosa ha da dire von der Leyen». Come presidente del Consiglio però deve avere garanzie precise, vuole «il massimo» per l’Italia. Tradotto: una vicepresidenza esecutiva nella prossima commissione e un portafoglio economico gonfio e politicamente rilevante, come il Bilancio a cui abbinare Pnrr e Coesione. Il nome in pole resta sempre Raffaele Fitto, anche se in tanti al governo temono per il destino del Pnrr, di cui qualcuno dovrà occuparsi a Roma, se il ministro farà le valigie. Sono paletti piantati in profondità. Lo ha messo in chiaro ai ministri che l’hanno seguita al summit di Washington, Antonio Tajani e Guido Crosetto, con cui ha avuto un rapido confronto dopo la cena di gala alla Casa Bianca di mercoledì sera. Il pressing per il sì cresce, nella schiera “moderata” che consiglia la leader. Ne fanno una questione di opportunità politica: con i “patrioti” euroscettici e filorussi compattati con Le Pen e Orban in Ue, ha l’occasione di mettere Fratelli d’Italia al centro della rosa politica europea, farne l’unica “destra” presentabile insieme ai Popolari. Convivono altresì, nei calcoli di chi le chiede di cedere per il sì, ragioni economiche. Da un lato le imprese che hanno bisogno come il pane di una Commissione “amica”, o almeno non ostile. Dall’altro l’autunno caldo sui mercati e una manovra che di nuovo dovrà fare slalom tra vincoli e ristrettezze. La logica non basta però per convincere Meloni a rompere gli indugi. In America, la presidente del Consiglio ribatte sullo stesso punto. «Sono soprattutto concentrata su quello che all’Italia deve essere riconosciuto non in ragione del suo governo ma in ragione del suo peso».

I PALETTI

La vicepresidenza esecutiva che Roma chiede nella nuova Commissione Ue, oltre ad essere un’importante leva politica nell’esecutivo europeo, è un riconoscimento politico che Meloni pretende per la terza economia. E lo pretende in pubblico.

Ai suoi colonnelli a Bruxelles ha già detto che non cercherà sotterfugi, accordi sotto banco. Se von der Leyen farà un’offerta irrifiutabile all’Italia, alla luce dei riflettori, allora potrà contare sui 24 voti dei “patrioti” italiani in aula. Il punto è che su entrambi i fronti — la vicepresidenza e l’endorsement pubblico — non sono arrivate garanzie sufficienti. Sicché ancora ieri l’europattuglia meloniana respirava scetticismo: «Oggi non ci sono le condizioni per votare Ursula». Ci mettono de loro i flirt della presidente in cerca di bis con i Verdi europei. Potrebbero riservarle brutte sorprese, nel segreto dell’urna, anche in quell’ala dei Popolari che vede come fumo negli occhi il Green deal e i suoi aedi. Né aiutano a spianare il terreno i caminetti fra i leader europei che Meloni vede come ostili. Ancora a Washington, all’ombra della Casa Bianca, il francese Emmanuel Macron e il tedesco Olaf Scholz si sono appartati, senza allargare il consesso. È solo l’ennesimo episodio di una lunga serie che ha convinto Meloni a calzare l’elmetto nelle trattative Ue. Aneddoto: nei giorni dopo il G7, dopo le provocazioni del tandem Macron-Scholz a Borgo Egnazia, da Parigi e Berlino hanno cercato Palazzo Chigi. E il telefono ha squillato a vuoto più di una volta. Ci riproverà von der Leyen. Chissà se avrà più fortuna.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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