Secondo Michel Martone i 14mila esuberi annunciati da Amazon — personale da sostituire con soluzioni di Intelligenza artificiale — sono più di un campanello d’allarme. «Assistiamo — spiega il giuslavorista, ordinario di diritto del lavoro alla Sapienza e viceministro ai tempi del governo Monti — a un ciclo che è appena iniziato. La prima ondata si traduce in blocco delle assunzioni soprattutto nei settori dove si introduce l’IA. Poi non saranno rinnovati i contratti a termine. Quindi, quando si verificherà la prossima grande crisi economica, a perdere il posto saranno gli assunti con contratto a tempo indeterminato».
Un futuro terribile?
«No, un futuro inesplorato che pone rischi ma offre grandissime opportunità. Siamo di fronte al salto tecnologico più grande della storia. Che rivoluzionerà non solo il lavoro, ma l’organizzazione della società, il modo di consumare, vivere o pensare. È la prima volta che l’umanità si confronta con altre entità che in prospettiva, come la super intelligenza, avranno autonomia di pensiero».
Soffermiamoci sul lavoro.
«Se già adesso l’automatizzazione, i robot, stanno facendo scomparire i lavori ripetitivi e quelli manuali, l’Intelligenza artificiale sostituirà molte mansioni intellettuali, specialmente quelle a basso contenuto d’innovazione».
Le categorie più a rischio?
«Grazie ai sistemi di automatizzazione stanno per diventare un ricordo i cassieri. Nella logistica molti lavori sono scomparsi così come è accaduto per tanti operai tradizionali. Con l’IA, e credo nell’arco di cinque anni, molte professioni saranno sostituite. Il concetto di categoria, però, è fuorviante».
Perché?
«Potrei dire che già oggi c’è meno bisogno di impiegati di segreteria, interpreti, traduttori, archivisti, rappresentanti di vendita, addetti che si occupano di servizi alla clientela, operatori telefonici, agenti di biglietteria fino agli annunciatori radiofonici, gli addetti all’intermediazione finanziaria o i correttori di bozze. Molti rientrano tra i lavori ripetitivi. La questione è più ampia: le aziende, quelle che si stanno già attrezzando con soluzioni A, hanno bloccato le assunzioni per le mansioni che possono svolgere gli algoritmi».
Sono impieghi di primo livello?
«Sì. E la gradualità di questo fenomeno è legata alle capacità delle aziende di sviluppare e implementare le soluzioni di Intelligenza artificiale, che sostituiscono determinati lavoratori. Solo dopo scatteranno i licenziamenti. Ripeto, è un ciclo appena iniziato, viviamo in una fase di sperimentazione: ChatGpt, per esempio, è nata solo 3 anni fa».
Davvero l’algoritmo è migliore di un lavoratore in carne e ossa?
«Siamo di fronte a un sistema d’intelligenza diversa da quella umana: ha meno capacità creativa e conoscenze esperienziali, non conosce empatia o abilità nel fare squadra. Detto questo, le soluzioni Ia non riposano la notte, non fanno le festività, non si pagano i contributi».
Che ce ne facciamo di tutti gli addetti in esubero?
«Prima di rispondere farei una premessa: è il momento di smetterla di dividersi tra ottimisti e pessimisti sugli impatti dell’IA sull’occupazione. L’Intelligenza, comunque, creerà nuovi lavori legati per esempio alla scrittura degli algoritmi o alla manutenzione di questi sistemi. Credo sia più utile, invece, interrogarsi sulle conseguenze sociali ed economiche».
Prego?
«Nel ’900 abbiamo chiesto ai lavoratori più ricchi di aiutare quelli più poveri: la progressività delle tasse o i contributi pensionistici servivano per finanziare il welfare di chi non poteva lavorare, perché malato o anziano. Adesso, e proprio perché l’IA aumenta le diseguaglianze tra chi può accedere o meno a queste tecnologie, bisogna immaginare nuove forme di solidarietà che equiparino le condizioni tra un’azienda che mantiene i lavoratori e paga stipendi, tasse e oneri sociali e un’altra che ha più profitti anche perché si affida alle soluzioni di Intelligenza artificiale per coprire alcune mansioni».
Sta parlando di una tassa?
«Una tassa, un contributo, uno strumento che sia legato ai risparmi garantiti dall’IA. Da far pagare, in primo luogo, per evitare concorrenza sleale o conflitti sociali, nuove forme di luddismo oppure lavoratori che perdono il posto e diventano nemici delle macchine. Soprattutto servirà per trovare quelle ingentissime risorse che gli Stati, indebitati come sono, non hanno per riconvertire i lavoratori».
Consigli ai giovani che vanno a scuola o all’università?
«Dobbiamo insegnare ai nostri ragazzi non cose da imparare a memoria, ma a saper parlare, scrivere o pensare per rispondere alle esigenze di lavori che non avranno al centro più le azioni, ma le capacità e i metodi per garantire creatività. Eppoi serviranno più momenti di interazione tra studio e mondo del lavoro».
È in corso un’importante stagione di rinnovi contrattuali: come cambiano le tutele?
«La contrattazione dovrà adeguarsi al cambiamento, ma alcune innovazioni già si vedono nelle intese dove è forte l’automazione, come avvenuto nei settori bancario o metalmeccanico. Per quanto riguarda le tutele si deve puntare al diritto alla formazione, a un ripensamento degli orari di lavoro e dei tempi di vita, razionalizzando l’attività da remoto. E servono strumenti contro il burnout o l’isolamento professionale. Le retribuzioni, poi, devono essere sempre più legate agli aumenti di produttività, anche garantiti dalle nuove tecnologie. Ma parallelamente, come ha iniziato a fare il governo Meloni, c’è la necessità di ridurre le tasse sul lavoro».
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