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«Garanzia contro Mosca». Oggi la cena delle trattative


Cena, aperitivo o solo un drink? La diplomazia europea si fa a tavola. O anche restando in piedi, informalmente. Come l’incontro — 5 o 10 minuti al massimo e senza imbracciare pallottolieri o liste dei desideri — tenuto in gran segreto a Borgo Egnazia tra Giorgia Meloni e la presidente della Commissione europea alla ricerca del bis, Ursula von der Leyen. «Solo un’interlocuzione» garantisce chi lavora a braccetto con la premier, senza lasciar intendere se sia andata o meno a buon fine. La realtà è che le chance di Ursula vanno crescendo — come dimostrerebbe anche quel mini-faccia a faccia al G7 con Olaf Scholz ed Emmanuel Macron — , grazie ad una serie di articolati incastri, fatti dai tempi (il Consiglio Ue del 27 e 28 è quasi l’unica finestra utile prima di settembre per definirla), dagli spazi (i macroniani hanno tutto l’interesse che si chiuda prima del 7 luglio, e del voto per l’assemblea che incoronerà Marine Le Pen) e pure dai segnali che l’Europa vuole indirizzare al resto del mondo.

Meloni in Svizzera per il vertice sulla pace in Ucraina, le immagini dell’arrivo

È una trattativa continua, al riparo dai riflettori. Dopo il ritrovo tra le masserie in pietra bianca di Borgo Egnazia, il partito di Ursula si dà appuntamento poche ore dopo in Svizzera, al summit per la pace in Ucraina a Lucerna. Certo, al raduno dei grandi del mondo tra le Alpi si parla di altro, della sofferta ricerca di una tregua da parte di Volodymyr Zelensky, ma la politica europea si prende i suoi spazi, nei caminetti alla cena di gala, dunque a colazione. Le trattative in Ue sono il grande convitato di pietra, il piatto forte del tavolo d’onore che fa sedere insieme la sera Macron e Scholz insieme al vicepremier italiano, Antonio Tajani. Perfino Zelensky, che «ringrazia di cuore» i big europei per gli aiuti militari, non può ignorare il grande rebus europeo dopo il voto, che lo riguarda da vicino. Tra una battuta e l’altro sugli Europei di calcio, l’Italia ne è uscita bene, «voi invece no», scherzano i padroni di casa elvetici con il povero ministro degli Esteri di Orban Szijjarto — l’Ungheria ne ha presi tre dalla Svizzera — ci si affaccia appunto sui negoziati di questa sera. A colazione, Roberta Metsola, presidente dell’Eurocamera, chiacchiera con il croato Plenkovic. Convinti tutti che «si andrà su Ursula», il bis è a un passo. E il ragionamento è questo, fra i tavoli dell’hotel di lusso: all’Ue «serve stabilità» per tenere testa alle minacce russe. Stabilità, tradotta in continuità dell’asse popolari, socialisti e liberali per tenere fuori, o alla porta, le destre europee. «C’è un’ampia convergenza» annuiscono il socialista spagnolo Sanchez, il popolare greco Mitsotakis. Una forzatura? Può darsi.

Il puzzle è ancora ben lontano dall’essere composto. E anche Giorgia Meloni non ha alcuna intenzione di sbilanciarsi troppo. Alla cena — preceduta da un aperitivo con Ursula, in cui la presidente della Commissione analizzerà il voto assieme ai leader — si siederà con il piglio di chi sa di poter essere determinante, ma non in questa fase. Oggi, al giro di tavolo, si definiranno metodi e bilanciamenti, non nomi né deleghe. Meloni, qui, avrà poco da dire. I conservatori non hanno un peso tale da poter bilanciare le indicazioni di Ppe, Pse e Renew. La partita della premier si aprirà infatti più in là, quando Ursula, formalmente incaricata, dovrà trovare i voti. E soprattutto dovrà arginare i franchi tiratori. La volta scorsa furono quasi 80, e lei si salvò per 9 voti solo per il soccorso dei conservatori polacchi del PiS e del M5S. Questa volta, il rischio è ancora più alto. Basti pensare che i popolari francesi dell’istrionico Ciotti non l’hanno mai sostenuta (e a certe condizioni anche il polacco Tusk potrebbe fare qualche passo indietro). In questa fase, Meloni potrà far contare la sua voce e il peso di almeno una quarantina dei 77 eurodeputati conservatori appena eletti. Non a caso oggi arriverà a Bruxelles prima dei suoi appuntamenti istituzionali, per fare il punto con i vertici di Ecr e parlare, tra gli altri, con Viktor Orbàn e l’ex premier polacco Mateusz Morawiecki (le due “spine” nello schema immaginato).

IL BANCHETTO

A Ursula questo è chiarissimo: scontentare l’Italia sulle deleghe dei prossimi commissari rischia di costarle la poltrona. A maggior ragione perché la premier oggi mostra il suo volto più conciliante e non batte i pugni sul tavolo. Chiede solo rispetto, e offre un ventaglio di possibilità che vanno dalla Difesa (per cui il nome in corsa sarebbe quello, anticipato dal Messaggero, di Elisabetta Belloni), alla Concorrenza o al Mercato Unico (tutte da affiancare ad una vicepresidenza) fino, e questa è una novità, ad un nuovo tentativo sull’Economia. Non la casella «depotenziata» di Paolo Gentiloni però (che ha un diretto “superiore” in Vasilis Dombrovskis), ma una casella creata ad hoc, che magari comprenda il mandato al nuovo bilancio Ue nascente e ai nuovi strumenti finanziari. Un lauto banchetto, a cui l’Italia ha il solo obiettivo di non restare digiuna. Ma niente di

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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