La descrizione forse più suggestiva dell’immane impresa necessaria per espugnare il cuore del programma nucleare iraniano la fornisce l’analista della difesa Paul Beaver, parlando col britannico The Sun. «Israele dovrà letteralmente spostare una montagna per colpire l’impianto. È protetto da almeno 90 metri di roccia solida e finora non è stato intaccato seriamente». Il nome dell’infrastruttura dove cresce l’atomica degli Ayatollah sembra uscire da un romanzo di spionaggio: Fordo. Scolpito dentro una montagna, avvolto in strati di acciaio e roccia, è il banco di prova della guerra lanciata da Israele. Il suo inizio, la sua fine. Tutto ruota lì, a 90 metri di profondità e una trentina di chilometri da Qom, seconda città santa dell’Iran a 150 chilometri dalla capitale. Lì i generali israeliani sanno di giocarsi la vittoria strategica, o il fallimento. Il raid sull’altro grande sito nucleare, Natanz, ha fatto rumore: colonne di fumo, impianti di superficie spazzati, centrifughe danneggiate. Ma Fordo, a dispetto di incendi ed esplosioni segnalati ieri nelle vicinanze, sembra intatto. «L’intera operazione deve davvero essere completata con la sua eliminazione», dice l’ambasciatore israeliano negli Stati Uniti, Yechiel Leiter. Perché se Fordo resiste, l’Iran mantiene le sue capacità e la Bomba è alla sua portata.
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LA STRATEGIA
I piani in discussione sono due, complicati ed estremi. Il primo consiste nel colpire dal cielo senza sosta, martellando sempre sullo stesso punto finché non si produca una breccia. Ma Israele non ha le armi giuste. Nessun F-35 può trasportare la Gbu-57 americana: 12 tonnellate di bomba perforante, capace di scavare 60 metri di roccia prima di esplodere. Solo i B-2 Spirit statunitensi possono farlo. Un funzionario della Casa Bianca chiarisce a Axios che Trump non vuole il «coinvolgimento diretto». La seconda opzione è davvero audace. Un’incursione da film, un James Bond d’annata. Forze speciali in volo o lanciate con il paracadute, decine di incursori d’élite incaricati di piantare esplosivi nel ventre del monte. Come in Siria lo scorso settembre, dove distrussero una fabbrica di missili sotterranei in un paio di ore. Ma qui è tutto più grande, più profondo, più insidioso. Fordo non è solo cemento e acciaio.
È una sfida ingegneristica e militare, un obiettivo che può cambiare la traiettoria dell’intera guerra. Il fiore all’occhiello della tecnologia nucleare iraniana e l’arma più potente. Kenneth Pollack, ex funzionario della Cia, lo dice chiaro: «Mi aspetto che Israele abbia un piano, un’incursione speciale o un attacco cibernetico. Ma la verità è che non lo sappiamo». Intanto, a Fordo l’Iran conserva uranio e centrifughe. «Se non lo colpisci, non hai eliminato la capacità iraniana di produrre materiale per un certo tipo di armi», avverte Richard Nephew, già negoziatore nucleare per gli Usa. Il New York Times osserva che Fordo ospita le centrifughe IR-6, tre volte più efficienti di quelle che le hanno precedute, e progettate per arricchire uranio al 60%. A un passo dall’uso militare. Secondo l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, l’Iran disponeva a maggio di oltre 400 chili di materiale a quella purezza, pari a 9 ordigni atomici, se portato al 90%. Ma Fordo non è solo una gigantesca camera blindata. È anche una roccaforte militare, protetta dal Corpo delle Guardie Rivoluzionarie Islamiche e da batterie antiaeree russe S-300. Ogni tentativo di incursione sarà preceduto da una guerra elettronica feroce, da droni kamikaze e inganni radar.
LA TERZA VIA
E c’è una terza opzione. Israele potrebbe provare a rendere inaccessibile il sito bloccandone ingressi e ventilazione, ma servirebbe un’esecuzione perfetta. «Anche se non riesci a distruggere Fordo – spiega Richard Nephew – puoi comunque renderlo inutilizzabile, ma non è detto che basti». Purtroppo, bisogna fare i conti con il fattore T. Tempo. Ogni ora che passa aumenta il rischio di dispersione dell’uranio arricchito in altri siti segreti. «Se l’Iran riesce a trasferirne una parte – dice Ali Vaez dell’International Crisis Group – Israele avrà perso la partita». Gli ispettori dell’Aiea sono stati ritirati. I satelliti fanno il loro mestiere, ma il dilemma per Netanyahu è se insistere nell’attacco e forzare la mano, o sperare che i colpi inferti siano sufficienti a piegare Teheran. Alcuni analisti parlano di “bombe sporche”, radioattive, in preparazione. Per la Guida Suprema, Khamenei, «la vita sta per diventare cupa per Israele».
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