19.05.2025
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Politics

Fitto resta favorito per la Commissione, un tecnico per sostituirlo nel governo


IL RETROSCENA

ROMA Fitto va, Fitto resta. Sarà lui, il mite e stacanovista ministro degli Affari europei, a vincere la casella italiana della prossima Commissione Ue? Fino a ventiquattro ore fa, la sola domanda suscitava una certa ilarità a Palazzo Chigi: «Certo che è Raffaele». Giancarlo Giorgetti, ministro dei conti con multiple passioni sportive, l’aveva messa così in Transatlantico alla vigilia del voto per Ursula all’Eurocamera: «Fitto è il nostro cavallo e vedrete fin dove correrà».

I PRIMO E IL SECONDO NOME
Tutto vero. Anche se qualcuno al governo ora teme che lo strappo di Giorgia Meloni a Strasburgo possa rallentare quella galoppata. Sulla carta, Fitto resta il primo nome per rappresentare l’Italia nella prossima Commissione europea. Ma anche il secondo e il terzo. In verità, e lo ha ricordato ieri “Ursula” dall’emiciclo Ue, fresca di rielezione, le regole prevedono una doppia indicazione dagli Stati membri: un uomo e una donna. Gender balance: non si scappa. Sicché anche Roma dovrà adeguarsi. Per il secondo nome, resta dunque in pole quello della super-ambasciatrice alla guida dei Servizi italiani, Elisabetta Belloni, direttrice del Dis.

A contare però sono soprattutto le deleghe. E quelle che più premono a Palazzo Chigi sono tutti portafogli economici. Il bilancio, insieme alle deleghe al Pnrr e i fondi di Coesione, due dossier ritenuti strategici dal governo. Sullo sfondo, il mercato interno — che però reclamano i francesi — e la concorrenza. Comunque vada, il nome cucito su misura è sempre Fitto. Resta un cruccio, questo sì: che fine farà il Pnrr? Chi gestirà la montagna del Recovery italiano se il ministro pugliese dovesse fare i bagagli e trasferirsi davvero a Bruxelles? È un nodo ancora da sciogliere. Presa dalle trattative con von der Leyen, Meloni non ha trovato il tempo di metterci testa. Eppure qualcosa si muove. A Palazzo Chigi si studia da tempo una soluzione “tecnica” all’impasse.

L’IPOTESI

Nominare un nuovo ministro non è un’opzione. La premier ha già chiarito a più riprese, fino allo sfinimento, di non voler mettere mano alla squadra di governo. Non ora almeno. Un rimpasto riaprirebbe il vaso di Pandora dei partiti del centrodestra, ognuno con il suo cahiers de doléances da squadernare alla leader. Qualcuno però il Pnrr italiano deve seguirlo. Si fa strada dunque l’ipotesi di nominare una figura tecnica per presidiare da Roma il cammino e la messa a terra dei fondi europei, sperando che Fitto tenga un occhio di riguardo da Bruxelles. Una soluzione interna è la più probabile. Fosse per il ministro, lascerebbe il timone alla sua capo di gabinetto Ermenegilda Siniscalchi. Fidatissima funzionaria a capo di una macchina che finora, a dispetto del can-can politico sempre presente quando di mezzo ci sono le risorse Ue, ha funzionato bene. Complice, ovvio, la super-struttura che il ministro agli Affari Ue ha messo in piedi, con una mastodontica unità di missione ad hoc a Palazzo Chigi coordinata con mini-unità in tutti i ministeri.

Certo servirebbe una promozione. Magari con la nomina di un sottosegretario per il Pnrr. Dopotutto ci sono due caselle libere nell’organigramma di Chigi: quelle un tempo ricoperte da Vittorio Sgarbi e Augusta Montaruli, prima delle dimissioni, rispettivamente, da sottosegretario ai Beni culturali e all’Università. Si vedrà. Certo non è una questione da poco, attrezzare la macchina per gestire il Pnrr senza Fitto. È soprattutto un tema molto attenzionato dal Quirinale, con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che in più occasioni ha chiesto lumi sul futuro dei fondi europei nello scenario di una partenza anticipata del ministro di FdI.

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