14.12.2025
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Politics

Fini-Rutelli, ad Atreju il remake del duello 32 anni dopo. «Il mio errore? Sciogliere An e andare nel Pdl. Non sono abituato a farmi comandare»


«Gianfranco — gli chiede Rutelli — non è che col senno di poi tu avresti votato per me come sindaco di Roma nel 93?». No, Fini ha parlato del «senno di poi» per fare davanti a tutti, nella sala gremita di Atreju per la riproposizione dopo 32 anni dei mitici duelli tivvù nella corsa per il Campidoglio, il mea culpa: «Il mio grave errore è stato sciogliere An e andare nel Pdl. Non sono abituato a farmi comandare». E scatta l’applauso della platea meloniana. È stata sancita ieri, con il ritorno di Fini ad Atreju, con le parole che ha detto e i battimani che ha ricevuto («Gianfranco, sei di nuovo dei nostriiii», ha gridato uno di FdI da metà sala) la ricomposizione dentro la destra di una ferita lunga quindici anni. E la mossa di Meloni, intesa come le due sorelle, di far tornare Fini alla festa di partito, si è rivelata azzeccata. Anche se tra chi ieri applaudiva Fini c’erano persone che fino a un mese fa non volevano neanche sentirlo nominare. Ci sono i vecchi sodali di Futuro e Libertà: da Italo Bocchino a Flavia Perina, da Roberto Menia all’ex ministro Terzi di Sant’Agata e via così. C’è un anziano missino (a proposto, ecco anche Er Pinguino, al secolo Domenico Gramazio) che sventola un pezzo di stoffa su cui c’è scritto: «Fini sindaco». E Rutelli? Ovazione quando, alla curiosità della presentatrice: «Lei si riconosce nel centrosinistra?», lui risponde: «Passiamo alla domanda successiva». Fini invece va dritto: «Mi riconosco in questo centrodestra ma non chiedo nulla. Ho votato per Meloni e la rivoterò. Giorgia ha il merito di aver ricostruito questa comunità».

IL PARTERRE

Per Rutelli, in platea c’è il renziano Luciano Nobili, ma soprattutto seduta in prima fila c’è la super-rutelliana Barbara Palombelli (moglie) e sono baci e abbracci tra lei e Francesco Storace. Il quale — «Eravamo giovani e belli!» — nel 93 era addetto stampa e portavoce di Fini. Un po’ di dirigenti di FdI, oltre ad Arianna che ha fatto gli onori di casa: Donzelli, Sbardella, Fidanza, Malan, Rampelli, De Priamo, e così via. Fini e Rutelli hanno stipulato, prima di entrare in scena, il Patto di Castel Sant’Angelo. Si sono detti: «Cerchiamo di non fare la figura dei vecchi babbioni. Limitiamo l’amarcord e parliamo di oggi e di domani, visto che il mondo si sta facendo terribile». E così è stato. Fini — che pure ricorda che fu Toni Augello a consigliargli di candidarsi contro Rutelli nel 93 — più volte insiste sul dovere morale di «difendere l’Ucraina», cioè la libertà di noi tutti. Rutelli a sua volta limita le gite nell’antiquariato (parla semmai dell’incubo dell’astensionismo e del necessario rinnovamento della politica) ma narra una cosa gustosa: «Noi giovani radicali stampavamo i nostri giornaletti nella tipografia del Secolo d’Italia a via del Boschetto. Perché costava poco e nonostante le differenze politiche avevamo degli amici in quel posto. Ti ricordi, Daniela?». E dalla prima fila, Carramba che sorpresa!, la prima moglie di Gianfranco dice: «Sììì». E saluta e ringrazia Rutelli. C’è anche lei, Daniela Di Sotto, ad assistere al gran ritorno di Fini ad Atreju. Che non va derubricato a fatto solo spettacolare. Se oggi si dice infatti che FdI deve estendere il suo perimetro oltre il recinto della destra — e questa strategia sia Gianfranco sia Francesco l’hanno vista a occhio nudo girando nella festa di Atreju tutta proiettata in avanti e lontana dalla destra come è stata conosciuta finora — questo tipo d’impronta la diede per primo Fini nel 93.

IERI, OGGI

«Al ballottaggio — racconta l’ex leader di An — andai con il 31 per cento, mentre il Msi a Roma era sul 10». E ci andò e poi rivaleggiò con Rutelli in una gara quasi ad armi pari, anche perché «gli esponenti del vecchio pentapartito, tanti dirigenti ed elettori democristiani, liberali, repubblicani, socialisti mi sostennero». Ecco, l’allargamento. In più, non è tanto lo sdoganamento di Berlusconi quel che deve aver contato, anche perché «Berlusconi fece l’endorsement a mio favore non all’inizio bensì poco prima del ballottaggio, quando l’onda era già partita», ma il fatto che al primo turno il leader della destra aveva preso oltre il 30 per cento. Ciò che adesso i sondaggi attribuiscono a FdI. Ieri come anteprima dell’oggi, e a Roma nel 93 non solo nacque il bipolarismo ma anche una destra in grado di allargarsi e di contare: questo il senso vero dell’evento a Castel Sant’Angelo. E Rutelli lo capisce bene: «È come il film Ritorno al futuro, ma non per me, per Fini. Lo sapevo che sarei venuto per un tributo a un fondatore e che ripercorrere il 93 è un pretesto per farlo tornare qua».
Rutelli, altri applausi, riconosce a Meloni che «in tempi così difficili nel mondo, si sta muovendo con senso di responsabilità. E l’opposizione dovrebbe individuare alcuni grandi temi di utilità per il Paese su cui collaborare con la maggioranza». «Solo unita — rincara la dose Fini — l’Italia può essere forte». C’è inoltre un ricordo in comune di quel tempo in cui cadde la tradizionale discriminazione contro la destra. «La Dc — racconta Fini — candidò un galantuomo, il prefetto Caruso. Capitò una partita Roma-Lazio in campagna elettorale. Rutelli laziale, io più laziale che romanista, entrambi allo stadio. Chiesero anche a Caruso per chi tifasse e lui rispose da prefetto: il primo tempo per una squadra e il secondo per l’altra. Le radio dei tifosi si sbizzarrirono contro di lui. Fu la riprova che la Dc aveva perso il contatto con la società». E che sarebbe cominciata un’altra storia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
 


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