19.05.2025
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Economy

Eurostat, nel 2023 famiglie più povere, ma il nodo è recuperare produttività


La speranza del governo e dei sindacati è che gli ultimi rinnovi contrattuali, il calo dell’inflazione e il peso di decontribuzioni e taglio dell’Irpef possano spingere il Paese verso un’inversione di rotta nell’anno in corso. Ieri Eurostat — l’organismo di statistica europea — ha stimato nel 2023 per l’Italia un nuovo calo nel reddito disponibile reale lordo delle famiglie: in dodici mesi, infatti, l’indice su questa voce è passato da quota 94,15 punti a 93,74. Numeri lontani dalla media Ue: qui nel 2023 è stato toccato un livello di 110,82 punti contro i 110,12 del 2022. Alla base di questo impoverimento nelle disponibilità delle famiglie italiane c’è l’aumento dei prezzi innescato dall’impennata delle quotazioni di energia e componentistica.

L’INFLAZIONE

La fiammata dell’inflazione (+8,1 per cento nel 2022 e +5,7 nel 2023) però ha soltanto acuito una tendenza quasi strutturale. E nella quale si sommano una serie di condizioni penalizzanti per i salari, la principale fonte dei redditi delle famiglie. In primo luogo c’è la scarsa produttività del Paese. Emblematico in questa direzione quanto avvenuto tra il 2014 e il 2018, quando la produttività è salita dello 0,3 per cento contro il +1,4 europeo. Performance che scontano l’altissima pressione fiscale (oltre 11 punti di Pil tra il 1980 e il 2020), senza dimenticare che si fanno ancora i conti con l’Accordo interconfederale del 1993. Nato per abbassare l’inflazione in prospettiva dell’entrata in Europa, suo malgrado ha appiattito i salari nei rinnovi contrattuali di primo livello legandoli ai prezzi al consumo e non è riuscito a sviluppare la contrattazione di secondo livello, ideato proprio per spingere in ambito aziendale buste paghe e produttività.

Tra il 2023 e il 2024 si sono verificati alcuni fattori che potrebbero migliorare le condizioni delle famiglie, in primo luogo su risorse disponibili e potere d’acquisto. A luglio l’Istat ha rilevato una crescita dell’inflazione a livello annua dell’1,3 per cento. Parallelamente stanno calano le bollette di luce e gas (-22,5 per cento le tariffe per le materie prime energetiche nel secondo semestre dell’anno) i mutui, con le banche che stanno già scontando l’imminente riduzione del costo del lavoro da parte della Bce. Con il taglio del cuneo fiscale (7 per cento in meno per i redditi sotto i 25mila euro e 6 per quelli sotto i 35mila) e l’accorpamento delle due prime aliquote Irpef, le risorse e gli incentivi per le famiglie sono saliti a 55 miliardi di euro, come ha calcolato il Sole24Ore. Infine c’è la ripartenza della stagione dei rinnovi contrattuali nel privato e nel pubblico: Confesercenti ha calcolato che gli aumenti salariali porteranno in busta paga dei lavoratori 19,1 miliardi in rispetto al 2022. Soldi che contribuiscono al recupero del peso inflattivo.

Soltanto l’anno prossimo si capirà quanto questi elementi e queste misure incideranno nella rilevazione di Eurostat sul reddito disponibile reale lordo delle famiglie. Intanto si registrano i primi segnali positivi. L’Ocse ha calcolato che nel secondo trimestre del 2024 proprio il reddito reale delle famiglie è cresciuto del 3,4 per cento nei primi tre mesi del 2024. E questo incremento — il più alto nelle maggiori economie — è dovuto secondo l’organismo di Parigi ai già citati rinnovi contrattuali. Mentre l’Istat, a luglio di quest’anno, ha reso noto che il potere d’acquisto delle famiglie è cresciuto rispetto al trimestre precedente del 3,3 per cento e la propensione al risparmio è salita di 2,6 punti percentuali a livello congiunturale, nonostante una pressione fiscale in aumento di 0,8 punti. Senza dimenticare la piena occupazione — oltre 24 milioni tra dipendenti e autonomi — che a breve potrebbe far ripartire i consumi.

Eurostat, però, nel suo ultimo «Quadro di valutazione sociale» segnala importanti passi avanti fatti dall’Italia sul versante dell’inclusione. Il Belpaese registra un recupero su una serie di marcatori, che lo vedono storicamente sotto la media Ue. In particolare il tasso di occupazione tra i 20 e i 64 anni — qui l’Italia resta maglia nera — sale dal 64,8 del 2022 al 66,3 per cento nel 2023. C’è una crescita di 1,5 punti contro l’aumento della media comunitaria di 0,7 punti. Sulla disoccupazione si registra un calo di 0,4 punti percentuali (dall’8,1 al 7,7 per cento). Crollano anche i Neet, i giovani che non lavorano e non studiano: dal 19 al 16,1 per cento. Altro calo consistente sul rischio di povertà: in un anno è passato dall’11,5 al 9,9 per cento.

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