Espulsi subito. Senza attendere ricorsi e contro-ricorsi e quindi il via libera dei giudici. Il governo italiano porta a Bruxelles la linea dura sui migranti. E sulle toghe. In un documento spedito alla Commissione europea il Viminale rende note le sue perplessità sul nuovo Patto di migrazione e asilo che tra un anno — ma l’Italia spera entri in vigore molto prima — cambierà da cima a fondo le regole comunitarie sugli sbarchi. Tra le critiche comunicate ai tecnici di Ursula von der Leyen spicca un passaggio sui ricorsi giudiziari. Che troppo spesso, spiegano da Roma, mettono in stand-by l’espulsione del migrante irregolare e talvolta finiscono per vanificarla.
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I RILIEVI ALLA UE
Sono due gli articoli del nuovo patto europeo nel mirino del ministero di Matteo Piantedosi così come del dicastero della Giustizia guidato da Carlo Nordio. Il regolamento in via di definizione, agli articoli 27 e 28, prevede infatti «l’obbligo di non procedere al rimpatrio prima che sia decorso il termine per l’impugnazione della decisione, che non dovrebbe eccedere i 14 giorni». Non va bene, batte i pugni l’Italia nel documento letto dal Messaggero. «Ciò implica, di fatto, l’impossibilità di eseguire il rimpatrio nell’immediatezza della notifica della decisione, con l’ulteriore rischio che il termine per la decisione sulla sospensiva possa essere considerato dalla giurisprudenza come meramente ordinatorio». Insomma, è il corollario, con le nuove regole si rischia di servire un assist ai magistrati permettendo di rinviare a data da destinarsi il momento dell’espulsione. «Verrebbe dunque capovolto l’attuale approccio nazionale che prevede il generale effetto non sospensivo dei ricorsi». Ed ecco riapparire all’orizzonte uno spettro chiamato Albania. Da più di un anno il governo è impegnato in un braccio di ferro con le toghe per far ripartire l’accordo con il Paese est-europeo per i centri di rimpatrio al di là dell’Adriatico. Un decreto alla volta, il governo ha provato ad aprire una crepa nel muro issato dai tribunali italiani che puntualmente hanno bloccato le espulsioni nei Paesi di origine dei migranti irregolari. Ora un cavillo del nuovo regolamento europeo sui rimpatri rischia di rialzare lo stesso muro. Bloccando per quindici giorni — ma il timore italiano è che sia uno stop a tempo indeterminato — le espulsioni dei migranti finché non scadono i termini per l’impugnazione. E qui si torna all’allarme rosso scattato a Roma. Scrivono i tecnici di Nordio in un’altra nota riservata che con le regole in discussione a Bruxelles non solo il rimpatrio può rimanere congelato per quindici giorni ma «lo straniero può chiedere la sospensiva, con il conseguente rischio di blocco continuo dei rimpatri». Tradotto: il decreto di espulsione rimarrebbe in un limbo per due settimane ma è concreta l’ipotesi che i magistrati italiani reputino quel termine «meramente ordinatorio». Potranno sembrare cavilli. Eppure passa da questi la battaglia della destra al governo per evitare che l’Europa disfi quel che ha fatto sul fronte migratorio in due anni e mezzo a Palazzo Chigi. Il cahiers de doleances squadernato nei documenti del Viminale non finisce qui.
IL CAOS RIMPATRI
Segnato in rosso, nella missiva alla Commissione, c’è un altro passaggio del patto europeo considerato molto problematico a Roma. Quello che prevede «l’obbligo di mutuo riconoscimento delle decisioni di rimpatrio emesse da altri Stati membri». Un bel guaio, sostiene il governo nello scambio con Bruxelles. Un ordine di espulsione di un migrante irregolare in Germania deve ottenere il via libera degli altri Stati Ue. Così causando «ritardi o ostacoli nell’esecuzione delle decisioni di rimpatrio, andando anche a precludere possibili difformi valutazioni da parte dello Stato membro procedente». Ad esempio: quando entra in vigore l’espulsione? E quanto dura nel tempo? Si tratta evidentemente di un altro intoppo giuridico che può aiutare i magistrati che vogliono fermare le espulsioni. Si torna sempre qui, al braccio di ferro con le toghe. E all’Italia che chiede all’Europa di prendere posizione.
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