21.05.2025
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Economy

Emissioni zero, la corsa alla transizione green costa 3mila euro a cittadino (con effetti a cascata sulle filiere economiche): la situazione


Circa 1.000 miliardi di euro all’anno per i prossimi 30 anni. Alle origini, nel 2019, quando è nato il Green Deal, doveva essere questo il costo della transizione green necessaria, tra stop ai motori endotermici e riqualificazione del patrimonio immobiliare. Le previsioni più recenti raccontano un altro film: cifre decisamente più elevate per portare a regime la trasformazione. Bruxelles stima che l’implementazione del Green Deal necessiterà di investimenti annui dell’ordine di circa 1.285 miliardi all’anno, pari all’8% del Pil europeo. Le risorse da mettere in campo saliranno a 1.500-1.600 miliardi annui tra il 2031 ed il 2050. Un rapporto dell’Institut Rousseau, autorevole think tank francese, indica un conto salato di circa 40mila miliardi di euro da qui alla metà del secolo per decarbonizzare l’economia europea, una somma pari al 10% dell’intero Pil del blocco e pari a 1.520 miliardi ogni anno. 

L’Institut Rousseau ha stimato che il 45% circa dell’investimento annuale totale richiesto dovrebbe essere catalizzato dal settore dei trasporti, mentre il 28% sarà destinato a quello edilizio. Il comparto energetico utilizzerebbe il 12% degli investimenti, e l’agricoltura il 10%. Considerando che il nostro Paese è il terzo contributore Ue con circa il 12% delle risorse, il salasso teorico è di quasi 3mila euro l’anno per ognuno dei 42 milioni di contribuenti italiani. Un bilancio che non tiene conto, tra l’altro degli effetti collaterali sulle filiere economiche dei singoli Paesi. Effetti un po’ sommersi, difficili da stimare con precisione, ma reali.

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LA VISIONE DI SISTEMA 

Un esempio per tutti. Secondo l’ultima fotografia emersa da un’analisi di Deloitte, per attuare la direttiva “Case Green” e riqualificare il patrimonio immobiliare nazionale sarebbero necessari tra gli 800 e i mille miliardi di investimenti in un contesto come quello italiano, in cui oltre 8 edifici residenziali su 10 sono obsoleti. Questo perché il nostro Paese, per dna è indietro su questo fronte rispetto agli altri paesi europei. Se si analizza la percentuale di immobili di classe energetica F e G, infatti, si vede che in Italia gli edifici appartenenti a questa categoria sono oltre il 60%, mentre in Germania arrivano al 45%, in Spagna al 25% e in Francia appena al 21%. Ma senza una visione sistemica, la nuova direttiva europea port dritto a una serie di impatti e rischi per le banche italiane. In primis potrebbe registrarsi un aumento dell’esposizione al rischio degli istitui. La valanga dello stop ai motori termici entro il 2035 colpisce invece in maniera indiscriminata un bel pezzo di industria europea. Per l’Italia in particolare è definita una condanna. Lo è sul piano della dipendenza strategica dalla Cina. E lo è sul piano industriale, perché vuol dire colpire una filiera italiana di Pmi della componentistica e migliaia di lavoratori difficilmente ricollocabili. L’Anfia sostiene che l’Italia rischia di perdere, da qui al 2040, circa 73mila posti di lavoro, di cui 67mila già nel periodo 2025-2030. Mentre una mappatura della filiera della componentistica italiana elaborata del Ministero delle Imprese e del Made in Italy parla di 101 imprese a rischio.

Dunque, se la transizione green è irrinunciabile ormai, va fatta almeno un’operazione verità sui costi di questa svolta. Perché chi sarà chiamato a pagare il conto, quindi i cittadini Ue, sappiano come stanno le cose. All’Ue spetta però rendere questo costo più facile da sopportare. Dando il giusto peso alla progressività delle misure, ma anche alla necessaria declinazione delle misure sulla specificità di ogni paese. La sostenibilità economica della svolta va di pari passo con quella sociale.
 

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