Al dossier si metterà mano più concretamente da giovedì, al ritorno di Giorgia Meloni dalla Cina. Ma la macchina elettorale si è messa in moto, nel centrodestra. Dove si vagliano nomi e si soppesano le chance di vittoria. Perché l’addio di Giovanni Toti, che gli alleati speravano potesse essere ritardato ancora di qualche altra settimana (così da non trovarsi con la grana di una campagna da avviare in piena estate), inevitabilmente ha dato il via alla corsa: va trovato un candidato per non consegnare la Regione al centrosinistra. E va trovato in fretta.
Tanto più che com’era nell’aria Edoardo Rixi, viceministro alle Infrastrutture, per il quale faceva il tifo Matteo Salvini, ha ufficializzato che lui non sarà della partita. «E non cambierò idea al riguardo», assicura il leghista genovese, unico ligure nella compagine del governo. «Se si fosse votato tra un anno e mezzo, a scadenza naturale della legislatura, ci avrei pensato. Oggi sarei solo una pezza a colori per tamponare una situazione d’emergenza».
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IL REBUS
Così il rebus torna al punto di partenza. Il tempo stringe, si diceva, anche se una data definita per le urne ancora non c’è. L’ipotesi che ha preso forza nelle ultime ore è quella di un election day: far votare la Liguria insieme a Emilia Romagna e Umbria, con ogni probabilità il 17 e 18 novembre. Scavalcando così di un paio di settimane il termine di 90 giorni previsto dallo statuto ligure in caso di dimissioni. Poco male: per riunire i tre appuntamenti basterà un decreto del governo. «Avrebbe senso in un’ottica di risparmio», si ragiona in ambienti di maggioranza. Dove si sarebbe preferito evitare l’accorpamento con l’Emilia, in cui il centrosinistra è dato in vantaggio. «Ma ormai – è la constatazione – votare insieme o qualche settimana prima non farebbe molta differenza».
Ed ecco che a questo punto si torna al nodo del candidato. Sul profilo l’accordo c’è: si punta su una figura “civica”, «una personalità – per dirla con l’ex ministro e sindaco di Imperia Claudio Scajola, ascoltatissimo in queste ore – che non abbia avuto impegni in questa fase ma che sia ben a conoscenza dei problemi della Liguria». Ipotesi che piace ad Antonio Tajani e pure al leghista Rixi. I nomi? Dopo il “no, grazie” del rettore dell’università di Genova, Federico Delfino, la rosa che si sta sfogliando in maggioranza al momento ne conta tre. Quello del presidente dell’Ordine dei medici di Genova e della federazione degli ordini della Liguria, Alessandro Bonsignore. Quello di Beppe Costa, Cavaliere del lavoro, presidente della Fondazione Palazzo Ducale di Genova e presidente della sezione Terminal Operators di Confindustria del capoluogo ligure. E infine l’opzione più politica (e, al momento, più accreditata): quella di Ilaria Cavo, deputata classe 1973 eletta alla Camera proprio con il movimento di Toti, di cui è stata assessora dal 2015 al 2022.
Un passato da giornalista (prima a Primocanale, dove documentò i fatti del G8 del 2001), poi a Mediaset, dove conobbe il futuro governatore. Alle ultime regionali liguri Cavo è risultata la donna più votata. E da ex assessora dell’attuale giunta è uscita a testa alta dall’inchiesta che ha travolto Toti, avendo rifiutato una cena coi fratelli Testa (accusati di corruzione elettorale al fine di agevolare l’attività di Cosa Nostra). Un nome, quello dell’ex volto tv, che avrebbe il placet del governatore uscente, deciso a dire la sua agli alleati sulla partita del successore. E che rappresenterebbe quella «continuità di buon governo» richiesta da tutto il centrodestra.
I PALETTI
Dall’altro lato della barricata, il centrosinistra sembra compattarsi sul nome di Andrea Orlando. Candidatura su cui pare scontato il placet della segreteria regionale del Pd, convocata per martedì. Prima però, ripete chi è vicino al diretto interessato, va convocato il tavolo di coalizione. Ed è qui che si registrano le prime grane. Perché Avs e i Cinquestelle preferirebbero fare a meno di Matteo Renzi, al quale chiedono una “abiura” sul passato (a cominciare dal sostegno al sindaco di centrodestra di Genova, Marco Bucci), e di Italia viva. Che invece, per bocca della coordinatrice Raffaella Paita, si dice pronta a sostenere l’ex ministro dem lasciandosi alle spalle ogni attrito.
L’imperativo, insomma, è partire dal programma. Lo stesso modus operandi con cui si cercherà di convincere Azione, dove si valuta il da farsi. I calendiani piantano alcuni paletti: «No a candidati imposti e focus sulle infrastrutture», le prime due conditio sine qua non per aderire al centrosinistra. Ipotesi che comunque viene bollata come «prematura». Si vedrà. Chi fa i conti col pallottoliere al Nazareno però si augura di tener dentro Calenda e i suoi: sondaggi e numeri delle Europee alla mano, i due blocchi in Liguria potrebbero finire a un’incollatura. Motivo per cui il 3,3% incassato un mese e mezzo fa da Azione ora fa gola a entrambi gli schieramenti.
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