15.05.2025
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Politics

è l’unica destra di governo


Lo sgomento a destra rimbalza, da metà pomeriggio, tra un telefonino e l’altro dei maggiorenti meloniani: «No, non è possibile». Delusi, ma non disperati: perché Giorgia non si è mai troppo entusiasmata per le sorti politiche della collega d’Oltralpe, lasciando Salvini a intestarsi la parentela. Non ha messo più di tanto (molto poco) la faccia Giorgia sulla campagna elettorale di Marine, nonostante con Macron i rapporti di Meloni siamo a dir poco freddi come s’è ampiamente visto al G7 in Puglia, e ora una botta alla destra troppo estrema di Francia può non dispiacere dalle parti di FdI. La sconfitta del Rassemblement National, che uno come Tajani ha sempre detestato («Non voterei certo per Bardella, se fossi francese»), viene vista come la riprova di ciò che nel partito meloniano nella destra hanno sempre pensato in questi anni: «Giorgia è l’unica leader di destra che vince». E vince perché non spaventa, perché è impossibile ridurla nella caricatura della «fascista», perché ha assunto posizioni in politica interna di responsabilità — sui conti pubblici per esempio — e in politica internazionale: tra il filo-putinismo lepenista e la completa adesione meloniana al sostegno atlantista ed europeista all’Ucraina c’è una distanza siderale. E ancora: non si festeggia certo la sconfitta di Marine in FdI, anche perché il probabile ingresso di Melenchon nelle stanza dei bottoni è considerato allucinante, e tuttavia, come spiega uno dei maggiorenti di FdI più ascoltato dalla leader per la sua moderazione e il suo pragmatismo, per Meloni non avere una presenza ingombrante come Le Pen, capace di spaventare tutte le cancellerie che contano, dalla Spagna alla Germania, per non dire dell’apparato brussellese, la rende più libera nella trattativa con la Ue per avere una interlocuzione senza la spada di Damocle dell’accusa di tradimento e per raggiungere l’obiettivo di sostenere in qualche modo von der Leyen nel suo bis e avare in cambio un commissario di peso, cioè Fitto alla Coesione, al Bilancio e al Pnrr.

Elezioni Francia, la sconfitta più amara per Le Pen: «Francesi traditi, successo solo rinviato»

Così spiegano in FdI l’esito francese: noi non abbiamo né vinto né perso. I leghisti sono invece in modalità valle di lacrime. Il senatore Borghi (ormai ufficiosamente auto-investitosi portavoce di Salvini) dice che «l’ammucchiata di oggi farà vincere le presidenziali a Le Pen». Tutta la strategia europea dei nuovi Patrioti di destra per l’Europa, dove Le Pen sarebbe dovuta confluire già da oggi dopo aver incassato la vittoria (che invece è fallita gravemente), con Marine sbaragliata dal Fronte Popolare e perfino da Macron dovrà cambiare e ridimensionarsi perché non può contare su un Parlamento francese in maggioranza dalla loro parte. E i berlusconiani? Tajani è Tajani, non ha mai mostrato simpatia (tutt’altro) per Le Pen, ha detto alla vigilia che «non voterei certamente per Bardella se fossi francese» e di fronte ai risultati d’Oltralpe il leader azzurro va avanti per la sua strada: «Il centro come zona di serietà e di governabilità. Ed è sempre più importante un rapporto tra la destra e il centro». Sia in Italia sia in Francia sia dappertutto.

VOCI DAL NAZARENO

E dall’altra parte dello schieramento politico italiano? «Risultato straordinario per la sinistra unita e una bella risposta di partecipazione. La destra si può battere!». Questa l’esultanza di Elly Schlein. E soffia da giorni, nel Pd, aria di ottimismo sul risultato francese. Si pensava che sarebbe andata bene, ma non fino a questo punto. Anche Conte è tutto felice per il responso d’Oltralpe. Il primo a festeggiare è Paolo Gentiloni, con un tweet: «Vive la Republique!», scrive il commissario europeo per l’Economia. Filippo Sensi, senatore e raffinato analista: «Il coraggio vince sempre. La scommessa di Macron si è rivelata vincente. Il cordone sanitario nei confronti della peggiore destra europea ha funzionato. Grande mobilitazione e affluenza» ed evviva.

Il mood è questo. Con i riformisti del Pd che dicono, giustamente, che la fine di Macron era stata decretata troppo presto. E non sono solo loro a dirlo, anzi nei palazzi romani (chiusi perché è domenica ma aperti tra continui colloqui telefonici di tutti con tutti) non si fa che ripetere: il vero vincitore è Macron. Dice Carlo Calenda infatti: «Ottimo aver chiuso la strada alla Le Pen. Bene la tenuta di Macron. Ma formare un governo e governare non sarà facile». Verissimo. Ma questa semplice constatazione dà fastidio al verde Bonelli che dice a Calenda: «Basta distinguo».

I rosso-verdi, che ieri sera cantavano la Marsigliese, si sentono i veri testimonial di Melenchon in Italia, e tra Fratoianni e Bonelli è tutto uno stappare champagne (in versione spumante) e immaginare l’inimmaginabile: in Fronte Popolare, cioè una sinistra tutta spostata a sinistra, che vada al governo come in Francia o comunque che schiacci la destra «fascista». Naturalmente, ogni sovrapposizione del voto francese sull’Italia è impossibile — diversa la politica, diverso il sistema elettorale — e soprattutto Meloni non è Le Pen e non ha la radicalità della collega francese che è quella che ha creato una larga alleanza in nome dell’anti-fascismo, che sarebbe impossibile in Italia perché nulla sta facendo la premier per evocare chissà quali fantasmi.

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