Domani la Commissione darà il suo giudizio sui conti pubblici dei Paesi europei. Lo farà guardando dallo specchietto retrovisore tra l’altro di un’auto, quella del vecchio Patto di stabilità, ormai dismessa. Cosa vedrà? Che undici Paesi del Vecchio continente lo scorso anno hanno sforato il tetto del 3 per cento del deficit-Pil. Tra questi anche due pesi massimi come Italia e Francia. Le vecchie regole prevedono che i Paesi che finiscono sotto la procedura per deficit eccessivo, devonono migliorare il loro disavanzo strutturale di almeno lo 0,5 per cento del Pil. Per l’Italia si tratta di 10 miliardi di euro. Sarà necessario fare una manovra correttiva? È stato chiesto ieri al ministro del Tesoro Giancarlo Giorgetti, che si è detto «ottimista» che non serva.
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IL PASSAGGIO
Certo, ha spiegato, il governo attende le indicazioni della Commissione ma, ha aggiunto, «non immagino il peggiore dei casi. Non è un caso, infatti, che l’Italia vada economicamente meglio di altri e questo in qualche modo ci potrà dare una mano». Nell’ultimo Def approvato dal governo ad aprile di quest’anno, nei conti pubblici è stato lasciato un margine di sicurezza. Il prossimo anno il deficit strutturale è già previsto che si ridurrà di 0,6 punti percentuali, più di quanto richiesto dalla procedura d’infrazione. Ma questo margine si concretizzerà, solo se anche la crescita dell’economia sarà in linea con le stime del governo.
Il Tesoro ha previsto per quest’anno un Pil in miglioramento dell’1 per cento e il prossimo anno dell’1,2 per cento. Fino a pochi mesi fa non molti scommettevano che il Paese potesse raggiungere questi obiettivi. Eppure l’andamento dell’economia continua a battere le stime. Il 6 giugno scorso l’Istat nelle “prospettive per l’economia italiana”, ha praticamente pareggiato le attese del governo portando le aspettative di crescita all’1 per cento quest’anno e all’1,1 per cento il prossimo.
LE STIME
Con questi numeri, insomma, non ci sarebbe bisogno di correzioni. A meno che non emergano nuovi “buchi” dal Superbonus o da qualche altro incentivo. Ma dopo le ultime strette la situazione pare sotto controllo. Questo non significa però che si possa mollare la presa sui conti pubblici. La Commissione europea nelle sue previsioni di primavera diffuse a maggio, ha usato un parametro diverso per calcolare il deficit italiano: quello delle politiche vigenti. Che significa? Che nel conto dell’indebitamento ha messo anche i 20 miliardi di euro necessari per rifinanziare il taglio del cuneo contributivo, le tre aliquote Irpef e le altre misure che scadranno alla fine di quest’anno. Ma in realtà cambia poco, perché anche il governo ha già detto che intende rifinanziare questi interventi. In che modo? Lo si vedrà con la prossima manovra che, però, potrà essere scritta solo dopo che arriveranno le indicazioni della Commissione sul nuovo Patto di Stabilità. Il primo atto ci sarà venerdì, quando l’Ue detterà agli Stati le “traiettorie” di spesa che dovranno rispettare. Un tetto pluriennale alle uscite per mettere i debiti pubblici, a partire da quello italiano, in un sentiero discendente. Alla base di queste “traiettorie” c’è un’analisi di sostenibilità del debito che, come ha ricordato la Corte dei Conti, sarà appesantito anche dal Pnrr, visto che una parte rilevante delle risorse è presa a prestito dall’Ue e quindi rende i rapporti con l’Europa più complessi. Gli impegni sulla spesa vanno dunque presi seriamente. Ma questo non vuol dire che l’Italia avrà completamente le mani legate. I Paesi possono “deviare” dalla traiettoria di spesa fino allo 0,3 per cento del Pil l’anno senza chiedere nessuna autorizzazione. Potrebbe tornare utile quando ci saranno da finanziare le misure in scadenza.
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