ROMA Non solo cortesia istituzionale. C’è di più, oltre al bon ton imposto dal ruolo di inquilina di Palazzo Chigi, a motivare le telefonate che Giorgia Meloni intrattiene con i leader dell’opposizione, prima di dare inizio al Cdm in cui viene ufficializzata la designazione di Raffaele Fitto come commissario Ue. Perché a tutti e cinque i leader dei partiti della metà sinistra dell’emiciclo, a cominciare da Elly Schlein e Giuseppe Conte, la premier rivolge lo stesso appello: facciamo squadra. Attorno al nome del ministro degli Affari Ue, è in sostanza l’auspicio e la richiesta più o meno esplicita della numero uno di FdI, vanno evitate divisioni. «Spaccarci sul nome di chi dovrà rappresentare l’Italia nella prossima Commissione europea – è il senso del ragionamento condiviso dalla presidente del consiglio con gli oppositori – non farebbe che danneggiare il nostro Paese. E rischierebbe di farci ottenere meno di ciò a cui possiamo aspirare».
È una ragione di immagine, innanzitutto. Consegnare a von der Leyen il quadro di un Paese spaccato attorno al nome di chi dovrà rappresentarlo ai massimi livelli istituzionali dell’Ue non sarebbe un buon viatico, per il commissario (nonché possibile vicepresidente) in pectore. Né, è il non detto di Meloni, renderebbe merito al lavoro del ministro, che nei due anni trascorsi nella cabina di regia del Pnrr e dei fondi di coesione ha sempre impostato un modello di lavoro fondato sul dialogo costante con gli amministratori, spesso di centrosinistra, chiamati a “mettere a terra” quei fondi.
L’APERTURA
Del resto è lo stesso motivo (oltre forse alla comune origine pugliese) che nelle scorse ore ha spinto un pezzo da novanta dei dem, l’ex sindaco di Bari e oggi eurodeputato Antonio Decaro, a una forte apertura di credito nei confronti dell’esponente di FdI: «Se in Ue deve andare uno di destra, preferisco che sia Fitto, una persona con cui abbiamo trovato soluzioni e risorse per le opere pubbliche».
Provare, per una volta, a indossare tutti la maglietta della nazionale, è insomma la richiesta agli avversari di Meloni. Come la leader di FdI ritiene di aver fatto quando cinque anni fa a Palazzo Chigi l’inquilino era Giuseppe Conte, e il commissario designato fu un ex premier del Pd, Paolo Gentiloni. Appello che ricalca quello lanciato dal suo vice Antonio Tajani, per il quale per le opposizioni «sarebbe sciocco non lavorare per sostenere un candidato commissario italiano», a prescindere dalle appartenenze partitiche.
E se dai leader delle minoranze non arriva l’ovazione, nelle telefonate con la premier nemmeno si registrano critiche personali rivolte a Fitto. La preoccupazione che viene trasmessa a Meloni sia da Conte che da Schlein riguarda piuttosto i destini dei fondi del Pnrr italiano: «Un dossier cruciale», lo definisce la segretaria del Pd, che «non può subire ulteriori rallentamenti». Nessun altro commento arriva dalla timoniera del Nazareno. Che preferisce rimandare ogni valutazione sul merito della scelta a quando si conoscerà il portafogli di cui sarà titolare Fitto. Ossia con ogni probabilità per passare all’attacco, puntando il dito contro una Meloni «isolata» in Ue se per Roma non scatterà una vicepresidenza.
LE CRITICHE
È la critica che alla premier rivolge Riccardo Magi di +Europa: Fitto «pagherà sulla propria pelle l’isolamento a cui ci ha ridotto la premier non votando von der Leyen. Il suo lavoro parte in salita». Dal gruppo M5S di Bruxelles i pentastellati «non faranno sconti» al ministro, mentre a Roma la contiana Chiara Appendino ironizza: «Sul Pnrr è calato un buio ancora più fitto, dopo che l’esecutivo ha già accumulato enormi ritardi sulla sua attuazione». Mentre non si sbilanciano Matteo Renzi e Carlo Calenda. Entrambi nelle scorse settimane avevano rivolto apprezzamento per l’operato del titolare del Pnrr, ma entrambi sono intenzionati a non fare sconti. Né alla premier, né al suo ministro.
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