23.05.2025
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Politics

«Del Turco un perseguitato, la politica gli renda onore»


«Un uomo irruento, combattivo. Può aver compiuto ingenuità, ma ha cercato di scardinare un sistema e ne ha pagato un prezzo elevato. La politica lo ricordi come merita. E restituisca a lui e ai suoi cari l’onore che la persecuzione giudiziaria ha tentato di togliergli». Claudio Martelli lo conosceva bene, Ottaviano del Turco, di cui per anni fu compagno di partito. «Diventammo amici che era un giovane sindacalista e lo siamo rimasti molto a lungo». Fino alla fine, agli anni del lungo processo, della malattia e della riabilitazione «soltanto parziale» in Cassazione.

Martelli, come definirebbe Del Turco? Una vittima di malagiustizia?

«Credo che a lui piacerebbe essere definito per quello che era, un testardo. Che si è ostinato a fare del bene come governatore dell’Abruzzo, l’esperienza per lui più significativa. E subito si è trovato alle prese con una sorta di pania, una ragnatela di interessi di cordate politiche-imprenditoriali dalle cui mani ha cercato di riprendere il controllo sulla sanità regionale per conto dell’amministrazione. È stata quella la sua sventura. Avrà commesso delle ingenuità, senza avvedersene ha coalizzato contro di sé troppi interessi che non è riuscito a domare. Questo è ciò che è accaduto. Poi è arrivata la violenza persecutoria da parte magistrati, non nuovi a questo genere di impegno incivile».

Che giudizio dà di quella vicenda, anni dopo?

«Una beffa. Perché una riparazione dei torti subiti che arriva in ritardo e non completa è una beffa. Dei presunti reati non si è mai trovata traccia: tutto si è fondato sulla parola di un accusatore che faceva parte degli interessi lesi da Ottaviano. Dalle carte emergono prove evidenti che la sua politica sanitaria spezzava una trama di interessi molto loschi. Addolora che ci sia rimasto impigliato».

Nel 2018 lei si scagliò contro la scelta di revocargli il vitalizio.

«Un momento vissuto con grande dolore dalla famiglia. A quel punto Ottaviano era già malato e non più del tutto cosciente. Aveva bisogno di cure impegnative. Quella decisione si riversò sul figlio e gli altri familiari, vittime della stessa ingiustizia».

Venne invocato anche l’intervento del Colle.

«Sì, ci rivolgemmo a Mattarella».

All’epoca dell’arresto Del Turco si sentì abbandonato dal suo schieramento?

«Prima di essere eletto governatore era entrato nel Pd. Che appena si profilarono i guai, lo abbandonò. Finsero di ignorarlo. Anche la stampa tornò a definirlo socialista. Questo la dice lunga sulla moralità e il senso dell’onore di tanti. Onore che oggi dev’essergli restituito, a lui e ai suoi cari».

Quanto ci ha insegnato questa vicenda? Siamo rimasti giustizialisti, come durante Mani pulite?

«Purtroppo sì. La tendenza al giustizialismo non è venuta meno neanche nel Pd, anche quando a farne le spese sono stati i suoi amministratori. È come se scattasse un riflesso a parteggiare per i persecutori anziché per perseguitato. Il contrario di una mentalità di sinistra, che deve guardare all’inviolabilità della persona umana. Non solo della vita e della salute, compromesse entrambe nel caso di Del Turco, ma anche all’integrità della reputazione, che per un politico è parte dell’identità».

Vede somiglianze col caso Toti?

«Di analogo c’è l’uso e abuso arbitrario della carcerazione preventiva. Per Toti si è trattato di domiciliari, ma dal punto di vista del danno si è già prodotta una grande ingiustizia. La stessa di ogni volta che si usa carcerazione preventiva per torturare un cittadino».

Torturare?

«Si, è tortura. Che dovrebbe essere perseguita da una magistratura indipendente che risarcisca la vittima. Non può finire tutto nel circuito mediatico-giudiziario, senza che nessuno se ne assuma la responsabilità. È un uso del carcere preventivo anticostituzionale e incivile. Un coltello puntato alla gola, come durante Mani pulite. O parli o resti dentro, o ti dimetti o ti tengo in semi-libertà».

Fa bene il centrodestra a voler cambiare la custodia cautelare?

«Assolutamente sì. E mi auguro che la riforma Nordio sulla collegialità della decisione sul carcere preventivo attenui gli aspetti più incivili del ricorso a questo strumento».

Le istituzioni come dovrebbero ricordare Del Turco?

«In parlamento, con la dignità e l’imparzialità a cui ha diritto. Con l’intelligenza con cui lo ha difeso e ricordato il figlio Guido. Come merita».

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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