Il giorno del giudizio, quello sui conti pubblici, è arrivato. E per una volta i riflettori principali non saranno puntati sull’Italia. Il centro della scena questa volta, se lo prenderà, con molta probabilità, la Francia. I nomi di Roma e Parigi finiranno insieme nella “lista nera” dei Paesi che hanno bucato il tetto del 3 per cento del deficit previsto dalle vecchie regole europee e che sarà annunciata oggi dalla Commissione europea. Ma la situazione di Parigi appare più complicata di quella di Roma. La decisione di Emmanuel Macron di convocare le elezioni subito dopo la sconfitta elettorale alle europee, ha dato uno scossone ai mercati che da giorni si interrogano su quanto potrà accadere in Francia se vincesse il Rassemblement National di Marine Le Pen. I conti di Parigi già sono tutt’altro che in ordine. Il 2023 si è chiuso con un deficit di bilancio del 5,5 per cento, con un peggioramento di 15,6 miliardi rispetto alle stesse previsioni del governo. Sono mancati, rispetto alle stime, una ventina di miliardi di entrate fiscali. Il debito ha superato il 110 per cento rispetto al Pil e, secondo Standard&Poor’s, che ha ridotto il rating al debito sovrano di Parigi portandolo da AA ad AA-, viaggia ormai verso il 112 per cento. Il ministro delle Finanze Bruno Le Maire, ha promesso in tutti i modi che il deficit sarà riportato al 3 per cento, come previsto dalle regole europee, entro il 2027. Ma sembrano promesse scritte sull’acqua. «La gravità della situazione in cui versano le nostre finanze pubbliche è evidente e siamo con le spalle al muro», ha dichiarato Pierre Moscovici, già Commissario europeo e oggi presidente della Corte dei Conti francese, al settimanale La Tribune Dimanche. Come ha ricordato l’economista Marco Fortis sul Sole24Ore, il debito francese lo scorso anno è aumentato di 148 miliardi, ma ancora più importante è che oltre il 50 per cento del passivo è detenuto da investitori esteri, a differenza per esempio del debito italiano, in mani straniere ormai per poco più del 27 per cento (nell’ultimo anno le famiglie italiane hanno acquistato Btp per oltre 100 miliardi di euro).
E quanto il debito estero possa pesare in caso di crisi, lo dimostra la storia della Grecia e la crisi dei debiti sovrani del decennio scorso. Per tenere i conti in ordine, la Francia dopo anni di resistenze, ha dovuto mettere mano ad una riforma pensionistica che ha alzato l’età del ritiro a 64 anni (contro gli attuali 67 dell’Italia). Secondo diversi analisti una riforma che non basta a mettere ordine nei conti e che andrebbe rafforzata. Ma sia la destra che la sinistra, nei loro programmi elettorali, vorrebbero portare l’età di pensionamento a 60 anni. Solo questa misura, secondo le stime di Allianz Research, costerebbe 17 miliardi di euro al bilancio francese. Il programma della Le Pen prevede anche un taglio al cuneo fiscale per 10 miliardi, e un intervento dello stesso valore a favore delle imprese. Oltre a 20 miliardi di investimenti sulla Sanità. Non proprio un percorso di risanamento dei conti pubblici.
LE DIFFERENZE
In Italia la situazione appare differente. Il debito resta elevato e il deficit ben oltre il 3%. Ma ha pesato soprattutto il Superbonus, ormai definitivamente archiviato dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti. Sulle pensioni l’Italia si è mostrata assai prudente, stringendo le maglie alle uscite anticipate e riducendo la rivalutazione degli assegni. L’intonazione sui conti pubblici è orientata alla sostenibilità e, soprattutto, a rassicurare i mercati sulla traiettoria intrapresa. In realtà in tutta Europa c’è una sorta di rivincita di quelli che un tempo, in termini dispregiativi, venivano definiti i “Pigs”, acronimo di Portogallo, Italia, Grecia e Spagna. Erano considerati i Paesi meno virtuosi, e adesso invece mostrano tassi di crescita delle loro economie maggiori di quelli di Francia e Germania. La Spagna e la Grecia quest’anno avranno una crescita attorno al 2 per cento, il Portogallo è stimato all’1,7 per cento, l’Italia allo 0,9 per cento. La Germania non andrà oltre lo 0,1 per cento e la Francia, dopo vari ribassi, è scesa allo 0,7 per cento. Ma sarebbe ingenuo pensare che non ne risentirebbero anche gli altri Paesi, a partire dall’Italia, se la Francia andasse in difficoltà e ci fosse una eventuale fuga dal debito dopo le elezioni. A protezione resta il programma Tpi, l’acquisto titoli pubblici in caso di emergenza della Bce. Ma lo scudo anti-spread può scattare solo se il Paese che ne ha bisogno si adegua alle regole fiscali dell’Ue. Come in un gioco dell’Oca si torna sempre alla casella di partenza.
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