Per i debiti pubblici il prossimo non sarà un anno semplice. Sul mercato dei capitali ci sarà molta folla. Il deficit degli Stati Uniti sta crescendo a ritmi vertiginosi e il governo americano continua ad inondare di T-Bond le piazze globali. In Cina, nonostante la crisi immobiliare, le imprese continuano ad indebitarsi, spinte dallo Stato. In Europa si assisterà, per la prima volta dopo decenni di parsimonia, a collocamenti di importanti quantitativi di bund tedeschi necessari a Berlino per finanziare le spese per la Difesa. Secondo i dati più recenti dell’Institute of International Finance e del’Ocse, il debito globale ha raggiunto i 346 triliardi di dollari. E crescerà ancora. In un contesto del genere la regola aurea, sarà presentarsi sui mercati con le carte in regola. Ma cosa significa carte in regola? Nel caso degli Stati, conti in ordine, stabilità politica, e credibilità internazionale. L’Italia, che secondo l’ultimissimo documento reso noto dal Dipartimento per il Debito pubblico il prossimo anno dovrà collocare tra 350 e 365 miliardi di euro, si presenta all’appuntamento senza timore. I conti sono in perfetto ordine. Il deficit scenderà sotto la soglia del 3% con un anno di anticipo. L’andamento della spesa è in linea con gli impegni presi con Bruxelles (aumento massimo dell’1,5% medio per 7 anni). Il saldo primario, vale a dire la differenza tra le entrate e le spese al netto degli interessi sul debito, è tornato positivo lo scorso anno, e migliorerà ancora fino a raggiungere entro il 2028 il 2% del Pil. La conseguenza è che lo spread con i titoli tedeschi, considerati ancora i più sicuri, ormai è sceso a ridosso dei 60 punti dai 240 di solo due anni fa.
L’Italia assomiglia sempre più ad uno di quei Paesi che solo poco tempo fa eravamo abituati a definire come “frugali”. Ma il punto è anche un altro.
Quegli stessi Paesi che, un tempo, si fregiavano di questo titolo iniziano a mostrare dei conti e degli andamenti che li avvicinano sempre più, almeno negli squilibri, ai Paesi dell’Europa Mediterranea di un quindicennio fa, e che gli stessi frugali accomunavano con un acronimo spregiativo: i Pigs.
IL PASSAGGIO
Della Francia si è detto e si è scritto molto. I suoi conti sono in uno squilibrio ormai cronico. Il deficit che lo scorso anno ha sfiorato il 6% rischia di replicare, se non peggiorare, la performance, anche quest’anno. Il debito è schizzato al 117 per cento del Pil e vive ogni appuntamento con le agenzie di rating con lo stesso patema d’animo provato dall’Italia all’inizio dello scorso decennio. Ma Francia a parte, un discorso lo meritano anche i tradizionali paesi indicati in Europa come “falchi”, un marchio che denota una comune visione basata su un postulato: mai nessuna condivisione di debito con i Paesi “spendaccioni” del Sud Europa. Lasciamo per un attimo da parte la Germania. Fa storia a se, ma ha usato molto spesso Austria, Finlandia, Olanda e Danimarca, come una sorta di “sponda” per frenare qualsiasi passo in avanti nell’architettura dell’euro, che si trattasse della garanzia comune sui conti correnti dei risparmiatori o dell’emissione di eurobond.
Quello in cui ci siamo ritrovati dopo il Covd, la guerra in Ucraina e la crisi energetica, sembra un mondo capovolto. Prendiamo l’Austria. Ha sperimentato un deterioramento drammatico dei suoi conti, con un aumento del deficit di due punti percentuali dal 2023 al 2024 (da -2,7% a -4,7%). Il saldo primario è peggiorato di 1,2 punti percentuali nello stesso periodo, passando da -2,0% a -3,2%. Un deterioramento attribuibile alla combinazione tra una debolezza economica persistente, e meccanismi automatici, come l’indicizzazione delle pensioni e dei salari pubblici all’inflazione, oltre ai deficit crescenti dei governi regionali (Länder). Anche la Finlandia ha nel suo ordinamento meccanismi di adeguamento automatico all’inflazione per la spesa sociale. E in più, condividendo un confine di 1.300 chilometri con la Russia, ha dovuto rapidamente aumentare le proprie spese per la difesa.
LE PROIEZIONI
Secondo le proiezioni, così come accade per l’Austria, anche la Finlandia avrà un saldo primario negativo nei suoi conti almeno fino al 2027 e vedrà il suo debito aumentare rapidamente. Il Paese insomma, presenta uno squilibrio fiscale significativo, tanto che lo stesso Fondo monetario internazionale si è detto preoccupato per la sostenibilità a lungo termine dei conti. I Paesi Bassi, con in testa l’Olanda, se la passano un po’ meglio perché partono da livelli di debito estremamente bassi, ma il quadro di fondo non è tanto distante. Il deficit continua a crescere anno dopo anno e entro il 2029, senza interventi, supererà il 3%. Per di più, l’Olanda ha fallito il test europeo di controllo della spesa pubblica. La verità è anche un’altra e forse non la si è mai voluta raccontare per davvero. L’Italia, se togliamo i tre anni della crisi che va dal 2020, anno del Covid, al 2022, anno dell’invasione dell’Ucraina, dagli anni novanta ad oggi solo due volte ha registrato un disavanzo primario nei suoi conti: il 2009 e il 2023. Sono 30 anni che il Paese tiene ordine nei suoi conti e rispetta gli obiettivi fissati dall’Europa. E lo ha fatto riformandosi costantemente e profondamente, dalla legge Fornero fino al Pnrr. Nessun altro Paese del Vecchio Continente può dire altrettanto. Ed è da vedere se chi oggi presenta squilibri, sarà in grado di fare quei “compiti a casa” sempre chiesti e sempre svolti dall’Italia con responsabilità collettiva. Insomma, verrebbe quasi da dire: frugali a chi?
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