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Dazi ridotti al 10% anche per l’Ue. Giorgetti vede l’intesa con gli Usa


È un segnale di cauto ottimismo quello che arriva dal G7 dei ministri finanziari in Canada. Una schiarita sui dazi americani che possa portare ad un accordo «ragionevole» tra gli Stati Uniti e l’Europa. A spiegarlo è stato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ieri ha parlato al Festival dell’Economia di Trento in collegamento da Banff. «Le negoziazioni», ha detto Giorgetti, «stanno avanzando ed è interesse comune trovare un compresso. Una ritirata totale delle posizioni americane», ha osservato il ministro, «mi sembra improbabile ma rispetto agli annunci di partenza e visto il modo in cui si sono posti i rappresentanti della amministrazione americana credo che si troverà una soluzione ragionevole». Giorgetti si è anche spinto a spiegare quale potrebbe essere questo punto di incontro.Qualcosa non troppo distante da quanto «concordato con il Regno Unito». Allora vale la pena capire bene qual è stato il punto di caduta degli accordi tra gli americani e gli inglesi, considerati il nuovo “benchmark” dei rapporti commerciali. La Gran Bretagna ha accettato un dazio universale del 10 per cento su tutte le merci che saranno esportate verso gli Stati Uniti. È di certo un peggioramento rispetto alla situazione attuale, che vede dazi “medi” per le merci inglesi inferiori al 2 per cento. Ma è meglio di quanto proposto nel “Liberation day” del due aprile scorso. È probabile, insomma, che la tariffa del 10 per cento diventi una sorta di “prezzo” di ingresso nel mercato americano. Quella pedaggio che i produttori stranieri devono pagare per avere accesso al «negozio di lusso», come Donald Trump ha definito il mercato a stelle e strisce. Per gli europei si tratterebbe di dimezzare il prelievo rispetto a quanto annunciato il 2 aprile. Ma la Gran Bretagna ha ottenuto anche altro. Come per esempio un esenzione dalla tariffa specifica del 25 per cento sulle auto per un contingente massimo di 100 mila vetture. Anche la trattativa con l’Europa, insomma, potrebbe provare a esentare alcuni “pacchetti” di merci.

IL PASSAGGIO

Giorgetti nel suo intervento si è detto ottimista anche sulla tenuta del tessuto imprenditoriale. «In Italia», ha detto, «abbiamo imprenditori con una capacità di resilienza pazzesca. Sono convinto che possano gestire un ammontare dei dazi limitato».Anche se, ha aggiunto, il settore farmaceutico potrebbe avere un impatto «significativo». Su questo, ha detto ancora, «dobbiamo essere vigili». Il ministro ha poi sottolineato il ruolo dell’Italia nella ricerca di un compromesso. È chiaro, ha detto, che la competenza in materia di commercio internazionale è europea. E sarà l’Europa a siglare «l’eventuale accordo» ma — ha sottolineato il ministro — è altrettanto evidente, e ne ho avuto la diretta esperienza personalmente in questi giorni in Canada, che per ragioni anche semplicemente di relazioni umane l’Italia la capacità di smussare gli angoli e di creare ponti». Giorgetti, poi, ha sposato la recente decisione della Commissione europea di imporre una tassa di due euro su ogni pacco di valore inferiore a 150 euro in arrivo dalla Cina. Una tassa che colpirebbe soprattutto il commercio elettronico di alcune piattaforme come Temu e Shein. Una tassa definita «sensata e auspicabile».

L’altro tema affrontato è stato quello, per l’Italia spinoso, delle spese per la Difesa. Al prossimo summit di giugno l’attesa è che la Nato alzi l’asticella del contributo fino al 3,5 per cento. L’Italia «ci sarà», ha spiegato Giorgetti. Ma, ha aggiunto, bisognerà prima decidere «quale sia il concetto di difesa» e una volta «stabilite le necessità, si stabilisce il livello di spesa di ogni Paese» della Ue «per poter aderire». L’Italia intanto, ha confermato che la soglia del 2 per cento già prevista dagli accordi Atlantici è stata raggiunta. Anzi, «siamo leggermente sopra», ha rilevato il ministro.Le spese italiane sono state riconteggiate secondo i criteri della Nato, che sono sostanzialmente differenti da quelli utilizzati nella contabilità nazionale. La Nato, per esempio, considera la spesa per un’arma nel momento in cui viene effettuato l’ordine, mentre la contabilità nazionale ha un criterio per cassa, vale a dire che la spesa entra nel conteggio solo quando vengono pagate le somme. Così come la Nato tiene conto anche della spesa pensionistica dei militari, mentre questa oggi è fuori dai conteggi. L’Italia è un Paese ad alto debito e, dunque, potrebbe avere difficoltà ad utilizzare la clausola nazionale decisa dall’Europa e che permette di deviare dal percorso di spesa concordato con la Commissione. Per l’Italia l’ideale sarebbe una spesa comune, finanziata con emissioni di debito europeo. Ma se questo obiettivo fosse difficile da raggiungere, sarebbe comunque meglio avere una sospensione generalizzata del Patto e non una lasciata all’iniziativa dei singoli Paesi. Che potrebbero essere poi sanzionati dai mercati. Proprio quello che l’Italia non vuole.

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