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Dazi, perché Trump minaccia di nuovo l’Europa? L’investimento Ue da 600 miliardi negli Usa e il rischio di «tariffe al 35%»


L’arte del deal di Donald Trump ha un ingrediente importante: evitare che il proprio avversario si rilassi. Per questo, quando mancano poche ore all’entrata in vigore dell’accordo, il presidente ha di nuovo minacciato l’Europa: le tariffe previste del 15% potrebbero essere alzate al 35% se Bruxelles non dovesse rispettare gli accordi, in particolare l’investimento promesso da 600 miliardi di dollari. «I dettagli sono: 600 miliardi da investire in qualsiasi cosa io voglia, qualsiasi. Posso farci quello che voglio. Ci hanno fregato per tanti anni e ora è arrivato il momento di farsi ripagare, e devono pagare», ha detto nel corso di un’intervista a Cnbc. Trump ha insistito sull’investimento: «Mi chiedono: “Perché l’Ue paga meno di noi?”, e io ho risposto: perché mi hanno dato 600 miliardi di dollari». Alcuni funzionari dell’Unione sostengono il contrario. L’investimento non è «un regalo», bensì «un’intenzione». Inoltre, il denaro è l’insieme degli investimenti promessi dalle aziende europee, in particolare dal settore automobilistico, visto che l’Unione da sola non ha alcun potere di investimento. Ma soprattutto non è un fondo che il presidente americano può gestire e decidere come usare. Le affermazioni di Trump, e alcuni dati economici inferiori alle aspettative, hanno creato un po’ di ansia sui mercati, che sono tornati a scendere.

I mercati

A Wall Street le parole di Trump sono state accolte con ribassi, temendo che l’economia americana non sia così in salute come sostiene la Casa Bianca. In particolare, gli investitori guardano con attenzione un’altra affermazione di Trump sui nuovi dazi che dalla prossima settimana peseranno su farmaci e microchip. «Metteremo inizialmente un dazio ridotto sui farmaci, ma in un anno, massimo un anno e mezzo, salirà al 150%, e poi al 250%, perché vogliamo che i farmaci vengano prodotti nel nostro Paese».

Trump ha anche attaccato la Svizzera, oltre all’Unione europea: «fanno una fortuna con i farmaci, e li producono in Cina, in Irlanda e altrove», ha detto, criticando la presidente della Confederazione svizzera, Karin Keller-Sutter (definita erroneamente primo ministro), dicendo che «non voleva ascoltare» i suoi argomenti.

I dazi annunciati da Donald Trump rappresentano un nuovo fronte di scontro con l’industria farmaceutica americana, che avverte: le tariffe rischiano di far salire i costi, scoraggiare nuovi investimenti negli Stati Uniti e compromettere la catena di approvvigionamento dei farmaci, con possibili ricadute sui pazienti.

Le regole

Trump ha alzato ulteriormente la pressione, inviando lettere a 17 colossi del farmaco. Chiede loro, entro il 29 settembre, di impegnarsi a offrire l’intero portafoglio di medicinali già in commercio al prezzo più basso applicato nei Paesi sviluppati a tutti i pazienti coperti da Medicaid, il programma federale per le fasce più vulnerabili. Un’operazione che, se attuata, riscriverebbe le regole del gioco per l’intera industria.

Per quanto riguarda il settore tecnologico, Trump ha detto che entro la settimana prossima annuncerà i nuovi dazi. Potrebbero causare forti tensioni per le aziende statunitensi attive nell’hardware e nell’intelligenza artificiale. Quando, nel 2022, Joe Biden ha firmato il Chips and Science Act, che prevede 52 miliardi di dollari in sussidi per stimolare la produzione nazionale di microconduttori, gli Stati Uniti producevano solo circa il 10% dei chip a livello globale. Eppure, più della metà delle aziende mondiali del settore semiconduttori ha sede negli Usa. Da allora sono stati compiuti alcuni progressi nel rafforzare la produzione interna. Sia Intel sia la Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (Tsmc) hanno ricevuto fondi previsti dal Chips Act. Tsmc, inoltre, è impegnata a investire almeno 100 miliardi di dollari nei prossimi quattro anni per costruire impianti di produzione di processori negli Stati Uniti.


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