Economy

dazi al 100% sui film stranieri


Poco prima di entrare alla Casa Bianca, Donald Trump aveva nominato come «ambasciatori speciali» per «il problematico» Hollywood tre attori molto vicini al movimento Maga: Sylvester Stallone, Mel Gibson e Jon Voight, che avrebbero dovuto «salvare un’azienda fallita». Ora, dopo mesi di silenzi e nessuna notizia dei tre ambasciatori, il presidente torna a parlare di cinema. Lo fa proponendo dazi del 100% su tutti i film prodotti fuori dagli Stati Uniti. Per ora non è chiaro quando le tariffe entreranno in vigore e in che modo saranno applicate a un’industria che da decenni produce pellicole attraverso collaborazioni internazionali e che dipende da set in tutto il mondo e non più solo dagli Studios di Hollywood.

L’ESODO

Sia i film indipendenti che i blockbuster hanno lasciato la California per produrre in Stati come New York e la Georgia all’interno degli Usa, ma soprattutto in Gran Bretagna, Francia, Germania e Canada. Londra è forse la città che attira più produzioni americane grazie a tagli alle tasse, infrastrutture moderne e al fatto che le maestranze parlino inglese. Ci sono esempi concreti molto interessanti: Il sequel della «Passione di Cristo» di Mel Gibson sarà girato in Italia. E ancora: un blockbuster come «Un film Minecraft» è stato filmato all’esterno degli Stati Uniti incassando 550 milioni di dollari a livello globale.

Da anni, ormai, la produzione a Hollywood è diminuita almeno del 40% per diversi motivi che vanno dall’aumento dei costi in California, agli incentivi di altri Stati per attirare le produzioni, fino al lungo sciopero degli sceneggiatori e degli autori per reclamare contratti con maggiori garanzie e proteggere le professioni dall’avanzata dell’intelligenza artificiale. Se si analizzano i film o le produzioni tv con un costo maggiore di 40 milioni di dollari, invece, guardando ai dati ProdPro si nota come, nel solo 2024, questi siano scesi del 26% rispetto ai due anni precedenti. Un calo che coincide con l’aumento, nello stesso periodo, dei film realizzati in Canada e Gran Bretagna. Nonostante le difficoltà, nel 2023 l’industria cinematografica americana ha comunque generato un surplus commerciale di 15,3 miliardi di dollari.

GLI INCENTIVI

E se Trump sostiene che le tariffe siano l’unico modo per «salvare» Hollywood, al contrario la Motion Picture Association (che fa lobby per gli Studios) e diversi analisti sostengono da tempo che per riportare le produzioni negli Usa servono incentivi federali. Non certo dazi, soprattutto se si valuta come questa industria si sia globalizzata negli ultimi decenni. In realtà Trump se l’è presa proprio con gli incentivi e gli sgravi fiscali dati a Hollywood per attirare l’industria fuori dagli Stati Uniti, definendoli «una minaccia alla sicurezza nazionale», mentre il governatore della California, Gavin Newsom, ha detto che il presidente «non ha l’autorità per imporre dazi» sul cinema. Il rischio, scrivono i media americani, è che i Paesi stranieri rispondano con delle tariffe reciproche che distruggerebbero Hollywood visto che, spesso, la maggior parte degli incassi dei film sono realizzati all’esterno dei confini statunitensi. Ieri, a Wall Street, le azioni dei gruppi cinematografici sono crollate: Netflix, Disney, Warner Bros., Discovery e Paramount hanno perso fino al 2% nel pomeriggio, per poi risalire leggermente in serata. Rispetto al primo mandato di Trump, però, stavolta sembra che Hollywood e i suoi attori temano maggiormente le possibili ritorsioni del tycoon: le critiche sono state molto più leggere che in passato, e durante la notte degli Oscar il presidente non è mai stato contestato, neppure indirettamente.

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