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È iniziato il conto alla rovescia per il referendum confermativo sulla separazione delle carriere. Lo scorso mercoledì i capigruppo del centrodestra al Senato hanno depositato le firme necessarie per richiedere la consultazione, che — secondo l’articolo 138 della Costituzione — è uno strumento indispensabile per le leggi di revisione costituzionale o per i disegni di legge costituzionali. L’appuntamento, secondo le previsioni del ministro della Giustizia Carlo Nordio, dovrebbe tenersi tra marzo e aprile del 2026. Le firme sono ora al vaglio della Corte di Cassazione, che entro trenta giorni si dovrà esprimere in merito alla legittimità, la regolarità e il numero delle adesioni. Successivamente, entro cinque giorni, la Cassazione dovrà notificare la propria decisione ai promotori del referendum. A quel punto, sarà la Corte Costituzionale a pronunciarsi sulla possibilità che la legge venga effettivamente sottoposta a referendum. Tra i compiti della Consulta rientra anche la formulazione del quesito: spetterà ai giudici costituzionali definirlo secondo criteri di chiarezza, omogeneità e comprensibilità per gli elettori. Una volta emanato il quesito, sarà il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, a indire il referendum entro un periodo compreso tra il cinquantesimo e il settantesimo giorno dalla pubblicazione del decreto di indizione. E prima della Pasqua del 2026 gli elettori saranno chiamati a esprimersi sulla separazione delle carriere, se intendono confermare o meno la legge costituzionale approvata dal Parlamento. E per far sì, che la consultazione sia valida non è necessario il quorum, ma una maggioranza relativa dei voti validi. È questa la grande differenza rispetto al referendum abrogativo, che per essere valido è necessario che si rechino ai seggi il 50%+1 degli aventi diritto. Quindi, sono solo due i possibili scenari. La vittoria del «sì», con il Presidente della Repubblica che promulgherà la legge costituzionale e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. O la vittoria del «no», in questo caso la riforma — pur approvata in tutte le letture dal Parlamento — non entrerà in vigore.
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