08.11.2025
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Politics

dalla guerra ai fannulloni agli insulti, fino al caso stipendio


«Fustigatore» dei fannulloni, incubo dei mandarini di Stato, “mastino” della spesa pubblica. Ma anche “nano di Venezia”, “energumeno tascabile”, e una lunga serie di altri epiteti decisamente infelici — spesso offensivi — che negli anni gli sono stati cuciti addosso. “Sono il ministro più insultato della storia della Repubblica”, disse una volta di sé Renato Brunetta, raccontando di aver ricevuto “più di diecimila post di insulti, minacce, addirittura pallottole” sul suo profilo Facebook. E di certo i modi così lontani dal politically correct dell’ex titolare della Pubblica amministrazione nei governi Berlusconi e Draghi non hanno contribuito negli anni ad aumentarne la popolarità. Né a questo proposito lo ha aiutato più di recente la decisione, da presidente del Cnel (il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), di “adeguarsi” lo stipendio al nuovo tetto fissato dalla Corte costituzionale per i dirigenti pubblici, da 240 a 311mila euro. 

Il profilo

Nessuna scelta arbitraria né manovra da “furbetto”, si è giustificato lui (categoria della quale del resto Brunetta si è sempre presentato come l’acerrimo nemico: celebre la sua battaglia per installare i tornelli in tutti gli uffici della Pa, compreso Palazzo Chigi).

Solo il recepimento di una “giusta” sentenza della Consulta. Sulla quale comunque il numero uno del Cnel, incarico che ricopre dal 2023, ha dovuto alla fine fare marcia indietro, visto che la decisione aveva scatenato non solo la bufera delle opposizioni ma pure l’ira di Giorgia Meloni, “irritata” per una mossa “inopportuna” basata su un verdetto, quello della Consulta che aveva fatto saltare il tetto agli stipendi pubblici, “non condivisibile”. 

Ma del resto la ricerca della popolarità non è mai stata l’obiettivo dell’ex professore di economia politica, 75 anni, una vita in Forza Italia prima di abbandonare il partito azzurro quando Berlusconi decise di staccare la spina al governo Draghi. Insieme protagonista e bersaglio, negli anni in cui guidava la Pa (specie con l’esecutivo del Cavaliere), di polemiche infinite, di accuse velenose e battaglie che gli sono valse critiche, scontri con quasi tutti i sindacati, ma pure un fiorire di parodie e imitazioni. Come quando accusò un gruppo di precari che lo contestava di incarnare “l’Italia peggiore”. O quando dette del “cretino” a un ambulante che lo accusava per la direttiva Bolkestein. 

Gli insulti

Vittima a sua volta, si diceva, di una caterva di insulti violenti, che spesso ne hanno preso di mira l’aspetto fisico. Da Umberto Bossi che lo apostrofò “nano di Venezia” a Massimo D’Alema, che lo definì “energumeno tascabile”. Insulti per i quali — come confessò lui stesso in un’intervista a Lucia Annunziata — ha sempre sofferto. “Vengo definito ‘tappo’, ‘nano’ e continuo ancora oggi, a 72 anni, a soffrire per questo”, raccontò. “Ma per fortuna ho le spalle larghe perchè ho fatto molte cose: il professore ordinario di Economia, l’europarlamentare, il presidente di Commissione, il ministro due volte, il capogruppo alla Camera dei deputati”. E ancora: “Sono responsabile delle mie idee e di quello che ho fatto e che faccio, non della mia statura. Non ho scelto di essere alto o basso”. Parole che, forse per la prima volta, gli valsero un apprezzamento unanime. 

Fino all’ultima polemica, quella sullo stipendio. E alle ironie che ne sono seguite: da castigatore a castigato, il leitmotiv. 


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