Notizie Nel Mondo - Notizie, affari, cultura Blog Technology «Da ragazzo ho dormito in macchina per fare il dongiovanni. Non avevo un fisico bestiale, ma ero me stesso e questo piaceva»
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«Da ragazzo ho dormito in macchina per fare il dongiovanni. Non avevo un fisico bestiale, ma ero me stesso e questo piaceva»


Gigi Marzullo, classe 1953, è giornalista e medico. Già capo delle Rubriche e approfondimenti culturali di Rai 1, è autore e conduttore di Sottovoce, che in autunno compirà 30 anni, e tanti altri programmi. Tutti i pomeriggi partecipa alla Vita in Diretta Estate. È autore di libri come Il Marzulliere, Si faccia una domanda e Non ho capito la domanda. 

Le piace l’estate?

«No. E nemmeno il mare. Lo dico senza esagerare: a me fa male l’aria del mare. Potrei andare in montagna, ma anche quella non mi piace. Io amo la città. Se potessi, starei un mese ad Avellino, la mia città di origine. Seduto in un bar, dalla mattina fino a tarda notte, a guardare il mondo, le persone che passeggiano».

Lo faceva già da ragazzo?

«No, all’epoca frequentavo il mare dalle 20. Partivamo coi miei amici da Avellino e andavamo in costiera amalfitana, fino a tarda notte. Ma ci spostavamo unicamente per andare a ballare all’Africano, a Positano. Un locale bellissimo dove si arrivava via mare, facendo un viottolo con una caverna. Oppure a Torre Normanna, a Maiori».

Lei ballava?

«No. Osservavo le persone. Mi piaceva guardare la gente. Una sera, molto tardi, stavamo per rientrare. Il mio amico che aveva casa a Maiori, mi propose di restare a dormire. “Ci sono anche i miei genitori che stanno dormendo”, aggiunse. Il padre era il direttore sanitario dell’ospedale di Avellino. Un’eminenza. Io dimenticai di avvisare a casa e cominciammo a dormire».

Cosa accadde?

«La mattina seguente, verso le otto, arrivò mia madre accompagnata da mio zio. Noi dormivamo in una stanza e nell’altra i genitori del mio amico, ignari che ci fossimo. Il povero dottor Aufiero si vide arrivare mia madre, molto concitata per l’ansia, che bussava ripetutamente alla porta. “Dov’è Gigi? Dov’è?”, chiese con un velo di disperazione. Il dottore, uscito dalla stanza in pantaloncini corti, immaginiamo la scena più di 50 anni fa, cercò di calmarla: “Signora, non lo so. Noi stavamo dormendo”. “No, no, quello sta qua!”, ribadì lei a voce alta. Entrò in tutte le stanze spalancando le porte. Ci fu molta confusione. Finalmente mi trovò. Una scena da teatro».

È stato sgridato?

«Un po’ sì, quando tornammo a casa. Avevo sbagliato, mi ero dimenticato di chiamare». 

La sera, tornavate sempre a casa?

«A volte, dopo aver avvertito, dormivo con questo mio amico in macchina per non fare avanti e indietro. La mattina raggiungevamo la comitiva con gli amici e, soprattutto, le ragazze. E se ci chiedevano dove avessimo dormito, rispondevamo: “All’hotel Valle Verde”. In realtà, avevamo dormito nel parcheggio dell’hotel… Frequentavamo ragazzi più benestanti di noi e, per orgoglio, non dicevamo la verità». 

E suo padre?

«Lui dormiva tranquillo. Mia madre mi aspettava sempre. Era una maestra elementare, come lui, molto all’antica e tradizionalista. Ed era preoccupata per questo figlio che andava ogni sera in costiera, con amici più grandi. Pagavano sempre loro».

Andava a scrocco?

«Ero uno studente, avevo 17 anni. Ero il piccolo. C’era un mio amico, poi preside dell’Università di Salerno, Enzo Maria Marenghi, che mi portava. Ero un po’ più carino degli altri. Lui conosceva delle donne e la bruttina dovevo sempre frequentarla io. 

Avevate dei riti?

«Sì. Al rientro ci fermavamo a Sorrento per mangiare la pizza al metro. Pagava sempre Enzo Maria. Una volta che avevo un po’ di soldi e volevo offrire, disse: “No, tu non hai ancora lo stipendio e io sono già assistente universitario”. E sentenziò: “Gigi, consiglio di trovarti uno stipendio al più presto, è una gran comodità”. Me lo ricordo benissimo».

E quando lo trovò?

«Con l’assunzione al Mattino di Napoli. Studiavo Medicina, però mi sono laureato tardi, verso i quarant’anni. Ho sempre continuato l’università, grazie a mia madre. Ogni sette anni dovevamo fare almeno un esame, altrimenti tutti quelli superati venivano annullati. Mia madre mi ha sempre pagato le tasse. Avrà speso un sacco di soldi, ma è grazie a lei che mi sono laureato».

Il pezzo di carta lo ha preso per sua madre?

«No, per mio padre che disse: “Tu puoi fare quello che vuoi, ma termina un percorso”. In realtà io volevo fare l’attore, per questo venni a Roma». 

Prima di incontrare sua moglie, lei aveva la fama di tombeur de femme: conferma?

«No, era difficile. Ero un po’ imbranato e non avevo un fisico bestiale, come direbbe qualcuno. Però ero molto me stesso, come adesso. E questa cosa piaceva alle ragazze, specie a quelle altolocate». 

Era affascinato dal bel mondo?

«No, ero affascinato dalle ragazze che mi affascinavano. Dovevano essere complesse. Non mi sono mai fermato all’aspetto fisico. Certo, se carina era meglio, ma cercavo altro». 

E quelle sere in discoteca?

«Beh, qualcosa avrò concluso. Ero molto timido e un po’ grassottello. Non mi piacevo. Col tempo la timidezza l’ho superata». 

Ora si piace?

«Sì, non mi dispiaccio». 

Che sensazione prova, ricordando quelle notti d’estate?

«Ho un bel ricordo perché non c’erano tanti pensieri. Ci si divertiva con poco. Quando passano gli anni, i pensieri affollano la mente e il cuore». 

Adesso è sereno?

«Sì, ma anche impaurito dagli anni passati e dal traguardo finale. All’epoca correvamo verso la vita».

È angosciato dall’idea della morte?

«Cerco di non pensarci, non vorrei arrivarci. Però non posso nemmeno lamentarmi. Quando quelle estati frequentavo la Costiera amalfitana, non pensavo che sarei diventato un po’ conosciuto. Non ho mai puntato su quello».

Ma se voleva fare l’attore…

«Io volevo solo evadere».
 

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