Un blitz di poche ore. E l’intervento in pubblico è un lampo: sette minuti. Giorgia Meloni torna in Libia a due mesi dall’ultima visita. Ieri la premier italiana è volata a Tripoli insieme al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Ha preso parte, accolta dal premier Dbeibeh, al Forum Trans-mediterraneo sulle migrazioni. Occasione utile a sciorinare l’agenda della destra al governo su un dossier sensibilissimo. Denuncia il traffico di migranti illegali, Meloni, che è «il peggior nemico dell’immigrazione regolare». Insieme, descrive un sistema — quello dei flussi legali in Italia — che ha mostrato tutte le sue falle. «Le organizzazioni criminali vogliono decidere loro chi ha diritto di entrare nel nostro Paese e chi no». Sullo sfondo, va in scena un nuovo, duro scontro con le Ong proprio sulla gestione dell’emergenza migratoria.
LO SCONTRO
È un attacco durissimo quello sferrato dalla tedesca Sea Watch al tandem Meloni-Piantedosi nelle ore della visita libica. «Sono oggi in Libia per lavorare con il primo ministro della Libia occidentale Dabaiba sulla loro politica migratoria distopica», tuona in una nota. «Di qualunque cosa parlino, probabilmente mira ad aumentare il numero di uccisioni nel Mediterraneo. Auguriamo loro tutto il peggio». Basta e avanza per innescare una reazione al vetriolo della premier, via social. «La Ong Sea Watch, che non ha nulla da dire sugli scafisti che si sono arricchiti uccidendo migliaia di persone, augura a noi ‘tutto il male possibile dal profondo del cuore’ perché andiamo in Libia a confrontarci su come fermare l’immigrazione illegale creando sviluppo», twitta la presidente del Consiglio. Dunque l’affondo: «Un cuore bizzarro, c’è da dire. In ogni caso, il Governo italiano continuerà a lavorare per fermare la tratta di persone, l’immigrazione clandestina e le morti in mare. Che a loro piaccia o meno». Non è una platea semplice, quella schierata al forum mediterraneo che accoglie la premier e il titolare del Viminale.
LE TENSIONI
Da settimane il governo di unità nazionale con base a Tripoli denuncia una situazione insostenibile sul fronte migranti. Se le partenze dalle città costiere verso l’Europa sono visibilmente calate rispetto all’anno scorso, ora è la Libia a fare i conti con una nuova emergenza: da Paese di partenza sta diventando, come altri Stati nordafricani, un Paese di destinazione dei flussi. Tradotto nei numeri offerti dal ministro dell’Interno tripolino Imad Trabelsi, sono 2,5 milioni i migranti stanziati sul territorio libico e di questi «l’80 per cento è irregolare». Il messaggio fra le righe guarda all’Europa e all’Italia: senza un aiuto e in fretta, il “tappo” rischia di saltare. Di qui il timing della tappa di Meloni e Piantedosi. Al forum il ministro mette in chiaro: «È essenziale passare da una cooperazione tattica tra singoli Paesi a un approccio regionale strategico». Ovvero? «L’obiettivo comune da perseguire non è quello di alleggerire la situazione migratoria dell’Italia o dell’Europa, la nostra ambizione deve essere quella di creare le condizioni per una riduzione di carattere regionale dei flussi illegali a beneficio di tutti i Paesi. Quando i migranti arrivano sulle coste nordafricane pronti per imbarcarsi, abbiamo tutti quanti già compromesso la nostra capacità di prevenzione dei flussi migratori irregolari».
La ricetta della destra al governo è ormai nota. Puntare sulla dimensione “esterna”, stringere accordi con i Paesi da cui partono le carovane della speranza. In due parole: Piano Mattei, la grande roadmap diplomatica in Africa targata Meloni. Riecco la premier difendere a Tripoli quell’approccio, che prova a trasformare in metodo europeo e chissà se oggi Ursula von der Leyen, ri-candidata alla presidenza della Commissione Ue, servirà un assist alla sua strategia nell’attesissimo discorso all’Europarlamento. Dice Meloni: «Abbiamo bisogno di un approccio nuovo a trecentosessanta gradi, dobbiamo combattere i trafficanti di uomini, sono i più potenti criminali nel mondo».
Piantedosi preannuncia un “Piano d’azione per il contrasto al traffico di esseri umani» che sarà lanciato al prossimo G7 Interni da lui presieduto a Mirabella Eclano. Parole d’ordine che trovano d’accordo i leader mediterranei riuniti a Tripoli e il premier Dbeibeh. Ma serve un segnale in più, per rassicurare il fragile governo riconosciuto dall’Onu, minacciato dalle truppe dell’Est di Khalifa Haftar e da una penetrazione russa in Libia che preoccupa sempre di più i nostri apparati di sicurezza.
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