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da dove riparte l’intesa Italia-Francia


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Stringere i ranghi nel sostegno all’Ucraina, ora che le trattative per una tregua, sia pure fra mille incognite, entrano nel vivo. Tenere seduto al tavolo Donald Trump, convincerlo che anche l’Europa ha diritto a una sedia. E ancora, il fantasma dei dazi, la cooperazione sull’industria spaziale con l’ipotesi, sempre più concreta, di trovare un’alternativa ai satelliti di Elon Musk. C’è molto più di un semplice «disgelo» nelle quasi quattro ore di colloquio di Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron a Palazzo Chigi.

Il chiarimento

C’è piuttosto una roadmap operativa per accorciare le distanze tra due Paesi fondatori dell’Ue che, piaccia o no, e dopo anni di dispetti e stoccate reciproche, devono parlarsi. L’Ucraina è il grande cruccio. Corre la clessidra dei negoziati, la finestra per una tregua rischia di chiudersi presto, a giudicare dal doppio fallimento dei colloqui di Istanbul.

Macron giura a Meloni che non è intenzione dell’Eliseo tagliare fuori l’Italia dai format che contano per la pace in Ucraina. Eppure così è sembrato fin dallo «strappo» di Tirana, con quella call del francese con Trump, Zelensky e un drappello di leader europei a cui la premier italiana non è stata invitata.

Un incidente di percorso, un malinteso, lo descrivono così ex post fonti del governo francese mentre da Palazzo Chigi fanno notare come Macron sia stato «costretto» a bussare alla porta della leader italiana. Rientrata in partita in queste settimane con la tela fra Trump e l’Ue sui dazi, culminata nel doppio contatto facilitato fra Ursula von der Leyen prima con JD Vance  e poi con il commander-in-chief.

Le garanzie per Kiev

Che fare dunque? Macron e Meloni ripartono da due assunti. Il primo: Putin non vuole trattare. Bluffa. Mentre allunga una mano, con l’altra schiaccia il bottone dei missili balistici e dei droni sulle città ucraine. Bisogna aumentare il pressing. Sanzioni, certo. Ma il pallino, concordano, è in mano a Trump e la speranza è che il presidente americano non divida i «sette grandi» al summit di Alberta, in Canada, tra il 13 e il 15 giugno. Un segnale di compattezza del G7 di fronte a Mosca è ritenuto «esiziale» da entrambe le parti.

Poi, le garanzie di sicurezza. E’ il vero nodo da sciogliere per Zelensky. Meloni è convinta che l’unica garanzia credibile sia estendere all’Ucraina l’articolo 5 della Nato, cioè l’articolo che disciplina la «difesa collettiva» dell’Alleanza. Ma senza — in alcun modo — aprire le porte della Nato all’Ucraina. Un impegno troppo gravoso comunque per i francesi che frenano e spingono per la soluzione dei «volenterosi». Truppe di pace, magari con il casco blu delle Nazioni Unite, fornite dall’Europa e da altri Paesi non coinvolti nella guerra e schierate lungo il confine Est con il Donbas e le regioni occupate. Meloni resta contraria. E un eventuale via libera alla partecipazione italiana, ammesso che prima si trovi l’accordo per una tregua stabile, è rigidamente condizionato a un mandato del Consiglio di Sicurezza dell’Onu. Ovvero al via libera di chi siede in quel consesso: oltre a Francia e Regno Unito, Stati Uniti, Russia e Cina.

La guerra dei dazi

I dazi, ecco il secondo cruccio del bilaterale romano. Qui la clessidra, se possibile, corre ancora più in fretta. Meloni spera di portare Trump a miti consigli già al G7 canadese. Si è proposta come pontiera tra Europa e Usa e in effetti il suo telefono ha preso a squillare di continuo nelle ultime settimane, mentre i mercati in tumulto si agitano di volta in volta che Trump minaccia una nuova escalation: dazi del 20, anzi no del 40, del 50 per cento.

Tutto congelato fino al 9 luglio, per ora, ma i negoziati «tecnici» procedono a rilento, complice la difficoltà, per Von der Leyen e la Commissione, di venire incontro alle richieste di 27 Stati membri. Macron tifa la linea dura: occhio per occhio, dazio per dazio. L’alleata italiana no: con Trump, il «dealer in chief» alla Casa Bianca, bisogna trattare, fino alla fine.

Il patto sui satelliti: addio a Musk?

C’è tempo nel vis-a-vis a Palazzo Chigi per discutere di economia e industria. Ci sono partite bancarie sospese sulla cresta delle Alpi, dall’eventuale intesa Generali con la francese Natixis che vede il governo italiano schierato contro e disposto a intervenire se necessario con il golden power,  alle partite industriali nel settore della Difesa. C’è poi la cooperazione spaziale che è forse il dossier politicamente più scottante fra quelli economici. Di fatto, per chi vuole competere con i satelliti, il bivio è uno solo: con Musk o contro di lui. Mancano poche settimane alla decisione che il governo italiano dovrà prendere su un possibile accordo con Starlink per la fornitura di connessioni sicure e cifrate per le forze armate e l’intelligence, del valore stimato di 1,5 miliardi di euro. Meloni vede in «Elon» un «amico».

Nei mesi però il caso ha preso una piega tutta politica. E a tirare il freno sull’abbraccio ai satelliti del tycoon sudafricano c’è il Quirinale che, stando ai rumors, avrebbe lanciato un segnale chiaro all’ultimo Consiglio supremo di Difesa: affidare le connessioni sensibili italiane a Musk non può e non deve essere l’unica via. E i dubbi diventano un muro se si tratta di forniture militari: passi l’intesa sui treni per la linea veloce a cui lavora il ministero di Matteo Salvini, ma l’esercito e le forze armate (presiedute da Mattarella) sono un’altra storia.

Ecco allora profilarsi all’orizzonte un’altra opzione, prospettata da Macron a Meloni nel vis-a-vis: una joint venture europea — Germania, Francia, Italia — per un sistema satellitare in grado di competere con la tecnologia di Starlink. Impresa assai ardua, concordano gli esperti, per i tempi e le risorse necessarie. E di certo il pressing francese non è disinteressato: è francese doc Eutelsat, l’unica società in grado di competere in Europa con Starlink, l’unica a farsi avanti per la fornitura di una rete sicura alle forze di sicurezza italiane.

Si vedrà. Ma già l’apertura a un piano europeo, confermata al Messaggero da fonti di governo, è un dato politico. Ora che Musk è uscito dall’amministrazione americana e i rapporti con Trump si fanno ballerini, l’Italia inizia ad allentare la presa. Meloni non rinnega l’amicizia con l’imprenditore patron di Tesla e Space X. Ma se mai si trovasse di fronte al bivio Trump-Musk, non avrebbe dubbi su quale strada imboccare.

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