Dopo il flop di Marcell Jacobs ai Mondiali di Tokyo 2025 e le successive dichiarazioni dubbiose sul proprio futuro, ha parlato la mamma dell’atleta azzurro. Di seguito la sua intervista a Il Messaggero.
Com’è essere la mamma del campione, Viviana Masini, madre di Marcell Jacobs?
«Ma no, sono solo la mamma di Marcell: che fosse uno speciale, l’ho capito subito, cinque minuti dopo che era nato. Mi sono sentita immediatamente in empatia con lui, e ci sono tuttora».
Però non è stato subito veloce Marcell: tempo di reazione al via 20 giorni di ritardo…
«Già, non una partenza veloce… Ma poi, alle Olimpiadi di Tokyo…».
Alle Olimpiadi di Tokyo?
«Era da toccare il cielo con un dito, e lui era lì, umile come sempre, a prendersi il frutto di tanto lavoro, tanto sapere, della sua crescita fatta di fatica e sacrificio e anche di piacere. A prendersi la più grande soddisfazione per uno sportivo. Me lo aveva detto da bambino».
Cioè?
«Avrà avuto dieci anni e già faceva atletica; voleva le sue prime scarpe chiodate; costano tanto gli ho spiegato io, e lui: “Ti restituisco i soldi quando vinco le Olimpiadi’”».
Li ha restituiti?
«No, ma mi ha ripagato in altro modo».
E’ stata subito atletica per Marcell?
«Gli sport li ha fatti tutti; gattonava soltanto e chiedeva la bici; a nove mesi l’ho portato al nuoto; sa, aveva un sacco di energia, bisognava che arrivasse stanco la sera e così si addormentava…, pattinaggio, calcio, basket. Ha sempre potuto provare tutti gli sport che voleva, come dovrebbe fare ogni bambino fino a trovare il suo, che non è quello in cui vinci ma quello in cui “‘tu sei tu”».
E lei gli ha fatto provare tutto?
«Solo uno no: la moto. Avevo paura: noi Masini abbiamo vissuto un’esperienza particolare; uno zio di Marcell, sa quello che ha preso il bronzo a Rio 2016 con l’handbike, Giancarlo?, è rimasto paralizzato alle gambe a causa di una caduta con la moto».
Che bambino era Marcell?
«Uno che ha sofferto e che le sue ferite le ha affrontate nel silenzio; uno che se un padre non ti vede mai cerchi sempre di essere visto da qualcuno. Poi un ragazzo che adesso doveva affrontare, dopo tanta sofferenza tenuta dentro, tutte le aspettative di tutti, gli italiani, gli amici, gli sponsor, la famiglia; a Tokyo, adesso, è stato bello che si sia tolto la maschera del supereroe. Ha parlato di ritiro, vero, che sarebbe una decisione amara, ma ne ha parlato con umiltà, con trasparenza».
Cose che magari si dicono dopo una sconfitta…
«Una sconfitta? Io certi risultati non li definirei “una sconfitta”. Quando uno dà tutto, fa tutto il suo possibile non è una sconfitta».
È quello che cercate di trasmettere nella Academy, la scuola di sport che avete a Desenzano?
«Sì: a Desenzano e in un’altra struttura, a Montichiari, che stava chiudendo. ‘”Se lo puoi sognare lo puoi anche fare” è la frase preferita di Marcell e lì cerchiamo che diventi una possibilità per tanti bambini; ce ne sono novanta in ciascuna delle due; ci lavoriamo tutti, anche i fratelli di Marcell, pure se uno, Nicolò, adesso è in Australia, fa il grafico, è andato a fare un’esperienza, come aveva fatto Jacopo quando era andato a Tenerife: faceva boxe. Sa che quando sono arrivati loro data la differenza di pelle, Marcell per un po’ ha creduto di essere adottato?».
Un altro “tormento” tenuto dentro. Chi alle Canarie, chi in Australia, Marcell in America. Sparpagliati…
«I figli debbono vivere la loro vita, la loro crescita. Io ho cambiato tutto a diciannove anni, nessuno mi ha fermata e così doveva essere. Si deve vivere la propria vita: quando stavo con il papà di Marcell, avevo vent’anni, la sera lui tornava e si metteva sul divano a guardare la televisione, sempre. Io non volevo guardare la televisione, volevo vivere la mia vita, la vita vera. Non la guardo mai se non per l’informazione, ora poi ci sono i social: non è vivere quello. Come mamma ho sempre pensato che dobbiamo crescere i ragazzi con l’ascoltare, il vedere, il dare pareri. Ho cresciuto Marcell soprattutto con il cuore: un po’ bastone, un po’ carota. I figli non sono dei robot, devi accompagnarli».
Oggi forse si dà ai figli qualche carota di troppo…
«Forse».
Ha visto che “esplosione” di mamme nello sport? Allenano, hanno successo.
«Ogni situazione è diversa, ogni rapporto particolare».
Lei non allena, però fino a vent’anni proibiva i pesi in palestra…
«E’ vero: fino a che non ha avuto un fisico strutturato non volevo che crescesse diverso da quello che era: volevo che fosse Marcell, non un’altra persona».
I bambini dell’Academy vogliono essere Sinner o Jacobs?
«Direi metà e metà, ma l’importante poi è che siano loro stessi».
Cosa gli ha detto dopo l’ultima gara a Tokyo?
«Che sono orgogliosa di lui, dell’uomo che è, dell’atleta che ha messo tutto quello che aveva. Abbiamo un bellissimo rapporto Marcell e io: ci sentiamo sempre, non siamo mai distanti, e ci sentiamo per parlare, non per dire soltanto “che tempo fa?”».
Ora lei lo raggiungerà in America: ha condiviso questa scelta?
«Era una sua scelta, ne aveva bisogno; era anche voler ritrovare le sue radici; era poter vivere “normalmente’”. Era ed è poter andare al supermercato o dovunque liberamente. Jacksonville è un tranquillo paese di pensionati… Vado, è il compleanno di Marcell e quello di Meghan, sua figlia».
I figli di Marcell lo seguono?
«Jeremy, il più grande, 11 anni, corre con il papà: l’ha fatto tutta l’estate. “Non sono stanco, se ce la fai tu posso farlo anch’io” gli diceva. E Anthony, che è più piccolo, voleva fare come il fratello e il papà. Meghan, la bambina, per ora preferisce il ballo… Ma poi faranno quel che vorranno».
Anche il ballo magari sarà olimpico a Brisbane ’32…
«Chissà. E magari avrà sui bambini l’effetto che hanno avuto Marcell e Gimbo dopo i Giochi di Tokyo».
O dopo i prossimi di Los Angeles: li vogliamo anche lì.
«Tutti li vogliamo lì, anche io. Ma la decisione è sua, non gli farei mai pressione».
Un’ultima cosa: l’affare dello spionaggio?
«Brutta cosa, molto molto male, la mancanza di rispetto della privacy, mai proprio delle scuse vere; né colpe né colpevoli; Marcell è un buono, è un generoso…».
E’ un figlio d’oro. In ogni senso e medaglia.
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