Giancarlo Giorgetti, da ministro dell’Economia, aveva già suonato la sveglia. Il calo demografico, ormai inarrestabile, comporta rischi e sfide per la crescita economica, la finanza pubblica e la sostenibilità del debito pubblico. Le culle vuote e la popolazione che diventa sempre più vecchia possono diventare un fattore di tensione anche sui conti pubblici.
I numeri di questa sfida sono nelle 61 pagine di relazione che ieri la presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, Lilia Cavallari, ha illustrato davanti ai deputati della commissione d’inchiesta parlamentare sugli effetti economici e sociali della crisi demografica.
Nell’arco dei prossimi cinque anni il rischio per il Paese è di trovarsi con 700mila lavoratori in meno e questo in un momento nel quale gli indicatori sull’occupazione sono da record.
La forza lavoro italiana, «mantenendo invariati i tassi di occupazione per classe di età», perderebbe poi altri 1,8 milioni di lavoratori nel decennio successivo e 1,6 milioni tra il 2040 e il 2050.
Negli ultimi vent’anni è cresciuta la quota di lavoratori tra i 50 ei 64 anni. Nel 2024 era al 20,8%; lo scorso anno al 37,4%.
Iniziato ormai dieci anni fa il calo della popolazione in termine assoluti continuerà. Neppure i flussi migratori, da soli, saranno sufficienti a invertire la rotta, nota l’Upb. Una delle conseguenze dell’invecchiamento dell’Italia sarà il calo della produttività, cui contribuirà anche un bacino di inattivi, ossia di chi è fuori dal mercato del lavoro, che nel 2024 si aggirava attorno a 12 milioni di persone.
Il BILANCIO
In parallelo l’invecchiamento porterà con sé l’aumento delle spese per sanità, pensioni e cure. Il picco si avrà nel 2040. Cavallari ha tuttavia rassicurato sulla tenuta dei conti pubblici nel lungo periodo, con una precisazione. «Dell’andamento inizialmente crescente di questa spesa dovrà tener conto della programmazione di bilancio di medio termine, per continuare a garantire la continua e plausibile discesa del debito pubblico in rapporto al pil richiesta anche dalle regole europee», ha spiegato il presidente dell’Upb. Lo scenario delineato dall’organismo che valuta l’aderenza delle politiche economiche italiane al quadro comunitario indica, nello scenario peggiore, un rallentamento del percorso per ridurre debito e deficit. Il ritorno sotto l’asticella del 3% dell’indebitamento potrebbe realizzarsi soltanto nel 2030 e non già il prossimo anno portando il Paese fuori dalla procedura di infrazione. Anche il debito devierebbe dalla traiettoria prevista nel piano strutturale di bilancio a medio termine concordato con Bruxelles e, nel caso che l’età per andare in pensione fosse mantenuta costante, arriverebbe nello scenario peggiore al 139% del pil, sette punti sopra quanto previsto dal piano. Ma si tratta appunto di scenario. La strada è finora quella indicata nei documenti di programmazione e in alcuni casi, come sul deficit, è andata anche meglio del previsto.
LE IDEE
Cavall ari ha indicato alcune possibili strade da seguire per governare il fenomeno demografico. Serve un maggiore livello di istruzione, soprattutto tra i giovani, e affinare e riqualificare le competenze professionali. Occorrono poi politiche «che favoriscano una più ampia partecipazione al mercato del lavoro, volte ad aumentare la numerosità delle attività ea migliorare le condizioni di occupabilità degli individui in età da lavoro».
Un’attenzione particolare è dedicata al sistema pensionistico. La spesa in proporzione al pil aumenterà fino al 2040 poi la piena attuazione del regime contributivo, quindi con assegni calcolati in base a quanto è stato versato nel corso della propria vita lavorativa e non in base all’ultimo stipendio come invece accade con il retributivo.
L’aggancio dell’età pensionabile ai dati demografici, ha spiegato il presidente dell’Upb, è «essenziale per contenere la spesa e garantire prestazioni adeguate, evitando pressioni sugli istituti assistenziali». Occorrono inoltre incentivi a restare al lavoro. Quanto alla spesa per assistenza a lungo termine per l’Upb serve rivedere il sistema per i non autosufficienti: passando a servizi pubblici strutturati anziché semplici sussidi monetari.
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