L’avvertimento, per ora, somiglia a una messa in mora. Cartellino giallo. Così non va, è il messaggio che Fratelli d’Italia recapita al ministro della Salute Orazio Schillaci. Il caso è quello dello scioglimento del Nitag, il comitato consultivo del ministero sui vaccini. Che Schillaci ha prima nominato e poi sciolto per la presenza di due membri accusati di posizioni no-vax dal resto della comunità scientifica, Eugenio Serravalle e Paolo Bellavite.
Una decisione, quella dell’azzeramento, che aveva fortemente irritato Giorgia Meloni, perché «non concordata» e perché «noi – filtrava nei giorni scorsi – crediamo nel dialogo e nel confronto». E già in quel momento era apparso chiaro come attorno all’ex rettore di Tor Vergata, profilo sì “tecnico” ma di fatto in quota FdI, il clima si fosse fatto di gelo. Una distanza confermata ieri dalle frasi di Francesco Lollobrigida. Che al Foglio dice: «La storia insegna che non sempre il pensiero scientifico dominante è quello giusto. Lo è statisticamente, ma lasciare spazio a tesi diverse e non soffocarle è la strada maestra». Per poi pungere sul «fan club» del ministro — che «gode di ampio consenso anche tra le opposizioni» — nel quale sarebbe «entrata anche Forza Italia» (l’unico tra i partiti della maggioranza, insieme a Noi moderati, ad applaudire allo scioglimento del Nitag).
TAGLIANDO
Lo strappo, insomma, appare profondo. Tanto più che Lollobrigida, capo delegazione di FdI al governo, era stato tra i pochi a difendere il ministro quando all’ultimo Cdm aveva proposto uno scudo penale per i medici, poi “congelato” dalla premier. Ma ieri su Schillaci è piovuto anche l’affondo di Matteo Salvini. «Evidentemente qualcosa al ministero alla Salute non funziona», il commento sardonico del leader della Lega sulla revoca del gruppo vaccini. Schillaci, per il vicepremier, «o si è distratto prima o si è distratto dopo: delle due l’una, visto che le ha firmate lui e li ha rimossi lui». E ancora: «Aver azzerato la Commissione è stato un pessimo segnale anche dal punto di vista scientifico e culturale». Giudizio che, appunto, appare condiviso dai colleghi meloniani. E che subito è tornato ad alimentare le ipotesi di un passo indietro dell’ex rettore di Tor Vergata, smentito nei giorni scorsi.
Ma le dimissioni non sarebbero all’ordine del giorno. Non ha intenzione di darle Schillaci, assicura chi ci ha parlato. E non vuole chiederle FdI. Anche perché sarebbe scivoloso pretendere un passo indietro per aver accontentato la comunità scientifica e l’ordine dei medici. Dunque a meno di una «clamorosa» decisione del ministro, non ci saranno rivoluzioni. Anche se la premier, con i suoi, non ha fatto mistero di non essere contenta di come vengono gestite le cose sulla Sanità. Il che spiega, ad esempio, la revisione dell’organigramma del ministero, con il posto da viceministro disegnato ad hoc (dicono) per l’attuale sottosegretario Marcello Gemmato. Se le dimissioni non sono sul tavolo, insomma, un “tagliando” nelle prossime settimane sembra inevitabile.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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