23.05.2025
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Politics

cosa può avere Conte in cambio


Ieri il centrosinistra si è compattato sul «boicottaggio» del nome del giudice scelto dalla premier Meloni per il posto vacante alla Consulta, Francesco Saverio Marini, consigliere giuridico di Palazzo Chigi e padre della riforma istituzionale del premierato.

Una nuova fumata nera ha segnato l’Aventino di tutte le formazioni dell’opposizione, di nuovo unite, compatte nell’Asse del «no» a quella che è considerata una vera e propria prevaricazione dell’esecutivo, specie in vista del passaggio alla Corte Costituzionale di alcuni dossier stretegici per il governo. Così, dopo la spaccatura consumatasi in Rai, ora quel «campo largo» rinominato dalla leader dem Schlein «coalizione progressista» sembra esistere ancora. Ma il ricordo del voltafaccia stellato nelle trattative per l’elezione del Cda della tv di Stato — coi dem fuori dall’Aula e i 5S dentro — rimane ancora più vivo che mai. 

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Il timore aleggia nel Pd.

Che ora teme, all’ennesima votazione a vuoto alla Consulta, l’ottava, che sul nome del giudice costituzionale Marini il presidente del M5S Giuseppe Conte possa strappare di nuovo. E decidere di scendere a patti, nel silenzio del voto segreto, con il centrodestra a trazione Meloni. Ammaliato, è il pensiero dei dem, dalla possibilità che la premier possa concedere ai 5 Stelle — in cambio dei loro voti — poltrone di peso come quella della direzione del Tg3, il baluardo dell’informazione di sinistra che, per la prima volta, verrebbe strappato ai dem. 

Ma in casa 5 Stelle l’ipotesi non sarebbe neanche contemplata. Lo ha confermato Conte ieri, in Transatlantico: «Non c’è nessun negoziato — ha detto il presidente pentastellato — nessun tentativo di trattativa, nessun tentennamento da parte del Movimento, non lo accetto». Nessuna dietrologia, in questo caso. 

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E, secondo Schlein, sarà la maggioranza a dover scendere a patti con le opposizioni unite adesso. Perché Marini potrebbe non riuscire ad ottenere mai i numeri sufficienti per essere eletto alla Consulta, i tre quinti dei voti, il che costringerebbe Meloni a un passo indietro che significa, anzitutto, riaprire il confronto con gli avversari. Pronti alle barricate anche in Vigilanza Rai, dove non presenzieranno al voto per Simona Agnes, sostenuta da FI, per la presidenza. Tutte prove di fiducia che adesso i 5 Stelle, tra un sospetto e l’altro, sono chiamati a non tradire. O meglio, a non tradire più. Ed è proprio quel precedente così recente ad alimentare i maggiori dubbi.

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