20.05.2025
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Politics

cosa potrebbe cambiare. Nelle commissioni solo 2 presidenti italiani


La decima legislatura Ue è (quasi) un gioco a somma zero per gli italiani. Che si aggiudicano la presidenza di una commissione, l’Ambiente (nome in codice Envi) con il dem Antonio Decaro, e di una sottocommissione (Fisc), sulle questioni tributarie, con il 5S Pasquale Tridico: due posti di comando come nel mandato che si è chiuso a giugno, a pari merito con la Francia; ma dietro a Spagna e Polonia (tre ciascuna) e ben distante dal record di sette difeso dalla Germania, che ha piazzato esponenti politici bipartisan. 

IL RIMPASTO
È tutta ancora da scrivere invece la “storia” della Commissione europea. In attesa della lettera d’ingaggio con cui Ursula von der Leyen chiederà a Giorgia Meloni di indicare i due nomi italiani per Rue de Berlaymont, la premier sta già pensando alla mossa successiva. Assodato che salvo stravolgimenti dettati dalla natura delle deleghe il principale indiziato a traslocare a Bruxelles è e resta il ministro Raffaele Fitto, la poltrona del Pnrr, della Coesione, del Sud e degli Affari Ue lasciata vacante a Roma inizia a scottare. 

L’opzione più in voga a palazzo Chigi è quella dello spacchettamento che probabilmente assegnerebbe Pnrr e Coesione all’attuale sottosegretario Giovanbattista Fazzolari (in seconda fila c’è il viceministro Galeazzo Bignami), gli Affari Ue al viceministro Edmondo Cirielli e la delega al Sud al ministro Nello Musumeci. Un approccio che però sarebbe stato sconsigliato proprio da Fitto che non vorrebbe inceppare un ufficio che ha fatto della sua forza l’interconnessione tra le diverse materie. E allora ecco che, anche per evitare se non un rimpasto una girandola di movimenti che aprirebbe alle recriminazioni di Lega e FI, l’idea sarebbe affidare l’intera pratica ad un solo fedelissimo. Nello specifico al sottosegretario Alfredo Mantovano che però, spiegano fonti di rilievo, in prima battuta avrebbe declinato perché già troppo oberato da un ruolo che non solo gli impone di vigilare su tutti i provvedimenti che transitano in cdm, ma pure di occuparsi dei Servizi di informazione e sicurezza, di guidare il dipartimento Antidroga e di seguire i lavori per il Giubileo di Roma. Tra le opzioni praticabili restano quindi solo l’assegnazione di un interim alla stessa Meloni (con Fitto che, in odore di nomina al Pnrr e alla Coesione in Europa, gestirebbe da Bruxelles il tutto) o l’indicazione di un ulteriore sottosegretario. A rischio però, in quest’ultimo caso, di aprire il vaso di Pandora con azzurri e leghisti. Nel turbine degli «aggiustamenti non traumatici» ventilati dal ministro Luca Ciriani al Messaggero, potrebbero però finire anche la sostituzione dei due sottosegretari che si sono dimessi (Vittorio Sgarbi e Augusta Montaruli), e l’indicazione di qualche ulteriore ruolo di sottogoverno per la decina di ministri che oggi non hanno vice. L’obiettivo del rimpastino? Rinforzare la macchina per renderla più rapida. Ad entrare nell’esecutivo — in attesa di capire cosa accadrà con il rinvio a giudizio della ministra Daniela Santanché — potrebbero essere per FdI Marco Osnato (presidente della commissione Finanze della Camera), Letizia Giorgianni (deputata vicina a Fazzolari e componente della commissione Bilancio) o Ylenia Lucaselli (anche lei deputata in Commissione Bilancio). Mentre se per FI si rincorrono i nomi di Letizia Moratti e dell’ex deputato Andrea Mandelli, per la Lega potrebbe ambire ad una promozione di qualche tipo il sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon. 

STRASBURGO
Tornando al Parlamento di Strasburgo, a sorridere per l’Italia sono solo le opposizioni nazionali di Pd e M5S, perché il valzer di poltrone lascia il centrodestra a bocca asciutta, a doversi accontentare delle seconde e terze file. Alle due cariche si aggiungono, infatti, 12 vicepresidenze (ogni commissione ne assegna 4): FdI ha fatto incetta con 7, 4 sono andate al Pd e una ciascuna a FI e verdi; al termine della scorsa legislatura erano 8 in totale. L’ex sindaco di Bari è stato eletto a capo della Envi, la più grande dell’Europarlamento (90 membri, come l’Industria) che si occupa di Green Deal, ma anche di mari, oceani, salute e legislazione farmaceutica. Stando all’Euro-Cencelli, una commissione di peso per i dem è il minimo sindacale essendo la prima delegazione nazionale nel gruppo socialista S&D, posizione di forza da cui finora ha ottenuto solo una vicepresidenza dell’Aula, per Pina Picierno, mentre ha lasciato agli spagnoli l’influente ruolo di capogruppo, perlomeno per la prima metà della legislatura. Dopo una lunga esitazione, i dem ieri hanno pure sciolto la riserva sul nome del capodelegazione, il leader delle truppe dem tra Bruxelles e Strasburgo: toccherà all’ex segretario e già governatore del Lazio Nicola Zingaretti; sua vice sarà la veneta Alessandra Moretti. 

IL CENTRODESTRA
Straripa, con 8 presidenze, il Ppe, ma l’onda blu non trascina con sé anche FI, che lascia a terra la Affari costituzionali avuta negli ultimi 5 anni prima con Antonio Tajani e poi con Salvatore De Meo. A pesare sull’esclusione dei berlusconiani, malignano a Bruxelles, la resa dei conti interna al Ppe dopo che la partner di governo Meloni ha negato i voti di FdI alla riconferma della popolare von der Leyen. Tiene, come previsto, il cordone sanitario contro l’ultradestra: le due commissioni che, nella spartizione, erano state “riservate” dai Patrioti per l’Europa (il gruppo di Marine Le Pen, Viktor Orbán e Matteo Salvini), sono state riassegnate nel segreto dell’urna ai popolari (Trasporti) e ai verdi (Cultura). «Avranno bisogno del nostro apporto», la reazione di Salvini, che lamenta l’esclusione «di partiti che sono stati votati da decine di milioni di persone». 

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