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Conti in ordine e stabilità Il mercato premia Roma


Il mercato aveva fiutato l’aria da tempo. Come spesso accade, gli investitori si muovono prima delle agenzie di rating. Da mesi, lo spread tra i Btp e i Bund è in calo. Da prima, quindi, che nella scorsa primavera, le agenzie indossassero le lenti rosa per guardare alla situazione italiana. Il termometro della stabilità delle finanze pubbliche, ossia il confronto tra i rendimenti dei titoli di Stato di un determinato Paese e quelli che è considerato uno dei porto sicuri per gli investitori -i bond tedeschi — è ai minimi da 15 anni. Si parla, quindi, di prima della crisi dei debiti sovrani che, nell’autunno del 2011, aveva portato alla caduta dell’ultimo governo Berlusconi. Da allora, i tempi sono cambiati. In un quadro europeo nel quale le altre due grandi economie dell’Unione affrontano tensioni politiche (è il caso della Francia) o scontano problemi di crescita (come avviene in Germania, un tempo locomotiva del Vecchio Continente), l’Italia si caratterizza per la stabilità del governo. Giorgia Meloni è a Palazzo Chigi da oltre mille giorni e si consolida al quarto posto tra gli esecutivi più longevi della storia repubblicana. Il Paese conta sulla buona occupazione, su un Piano nazionale di ripresa e resilienza che procede secondo le scadenze nel raggiungere target e obiettivi, dando una spinta agli investimenti. E, soprattutto, conta sulla capacità del Mef di mantenere un quadro di finanza pubblica ordinato e in costante miglioramento, oltre che su un sistema bancario solido e un livello di crediti deteriorati ben lontano dai livelli record del 2015, quando gli Npl avevano toccato quota 196,3 miliardi.

Non a caso, ogni qualvolta il Tesoro è andato sul mercato con nuovi titoli, la risposta sia dei risparmiatori nazionali sia di grandi fondi e investitori istituzionali è stata positiva. A inizio settembre, l’emissione di titoli per 18 miliardi aveva ricevuto offerte per oltre 12 volte l’offerta, avvicinandosi a quota 218 miliardi. La geografia degli investitori è risultata molto diversificata, con offerte giunte da una quarantina di Paesi in giro per il mondo.

D’altronde, la quota del debito pubblico italiano in mano agli investitori esteri è in costante crescita: oggi si aggira attorno al 33%. Con l’arrivo del nuovo governo è aumentata anche la fetta del debito nei portafogli delle famiglie italiane, salita attorno al 14%. Dall’altro lato (dato da tenere in conto quando si parla della capacità dell’Italia di pagare di meno il costo del suo debito), si è invece alleggerito il sostegno della Banca centrale europea per contenere eventuali scossoni sui mercati e raffreddare lo spread.

In questo quadro, anche le agenzie di rating hanno risposto fin dalla scorsa primavera migliorando i loro giudizi sul merito creditizio italiano. Prima della decisione di Fitch di ieri sera,ad aprile era arrivata la promozione di S&P e ancora il passaggio delle prospettive italiane secondo Moody’s da »stabili» a «positive». Nel mezzo, le banche d’affari da Goldman Sachs a Barclays avevano evidenziato i punti di forza del Paese.

LE PREVISIONI

Di resilienza dell’economia nazionale, seconda manifattura europea, ha scritto il Fondo monetario internazionale, lodando la capacità della Penisola di reggere alla incertezze globali, in uno scenario dove a farla da padrone sono le turbolenze nel commercio mondiale generate dalle politiche protezionistiche avviate dagli Usa, oltre ai due conflitti in corso in Ucraina e a Gaza. Lo scorso anno, l’Italia ha saputo realizzare un avanzo primario dello 0,4% e centrare un target sul deficit inferiore a quanto stimato dal governo stesso. Il target di deficit previsto per fine anno nel Documento di finanza pubblica presentato ad aprile è del 3,3%. Non è escluso che anche il 2025 possa riservare sorprese in positivo. L’indebitamento potrebbe essere portato al 3% o anche sotto già quest’anno, facendo uscire l’Italia dalla procedura di infrazione con 12 mesi di anticipo rispetto al previsto.


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