08.12.2025
12 Street, Rome City, Italy
Politics

Consumi e dollaro forte, ecco perché i dazi non aiuteranno gli Stati Uniti


I bollettini di guerra sono tornati alle prime pagine da tre anni a questa parte. Il grafico (dall’Uppsala Conflict Data Program) mostra come dal 1989 — più di un terzo di secolo… — i conflitti sono diventati più frequenti e più sanguinosi: a cominciare dalla “carne da cannoni” – le decine di migliaia di giovani russi che Putin ha mandato a morire nelle terre martoriate dell’Ucraina — per continuare con i soldati e i civili ucraini, e per (non) finire con le decine di migliaia di gazawi uccisi nella Striscia… E poi ci sono i morti silenziosi, dovuti ad altri tipi di conflitti: la chiusura dell’agenzia americana per gli aiuti all’estero (USAID) sta causando, direttamente e indirettamente, centinaia di migliaia di morti, secondo la UCLA Fielding School of Public Health e la Harvard T. Chan School of Public Health.

Di fronte a questi lutti, è quasi un sollievo poterci occupare, come faremo in questa inchiesta, di un’altra guerra, fortunatamente non cruenta: la guerra commerciale scatenata dal governo degli Stati Uniti, la guerra dei dazi.

La domanda fondamentale

La cronistoria di questo conflitto si legge come un bollettino di guerra, e chi sia interessato a questa cronologia, la può trovare su Ma, in questa prima puntata, cerchiamo di rispondere alla domanda fondamentale: sono giustificati questi dazi? O, per meglio dire, per quali vie, più o meno tortuose, l’Amministrazione Trump è giunta alla conclusione che doveva ostacolare le importazioni di beni negli Stati Uniti?

Le “vie” sono state più volte esposte e spiegate da Donald Trump e da altri suoi ministri: gli Stati Uniti hanno un grosso deficit commerciale col resto del mondo — importano, cioè, molto più di quel che esportano — e il fatto di essere in deficit — dice l’Amministrazione – vuol dire che gli altri Paesi si approfittano di noi, inondano dei loro prodotti il nostro ricco mercato interno, tolgono lavoro agli americani e ci costringono a indebitarci con l’estero… quindi, continua l’Amministrazione, dobbiamo rendere le importazioni più care applicando i dazi: così importiamo di meno, e i consumatori americani, invece di comprare merci importate, compreranno beni prodotti in America, con benefici per la crescita e l’occupazione. Detto fatto: il Governo americano ha introdotti questi dazi, e, con un tratto di penna, li ha portati (vedi grafico) a livelli vicinissimi a quelli registrati negli infelici anni Trenta, quando la famosa – o famigerata – legge Smoot-Hawley alzò alle stelle le tariffe doganali, contribuendo così (ci furono altre cause) alla Grande depressione che afflisse il resto del decennio. Sono valide le ragioni di cui sopra?

I prodighi

No, non sono valide. Primo, perché il deficit commerciale americano ha altre ragioni. Secondo, perché, anche se l’imposizione dei dazi fosse giustificata, non sortirebbe l’effetto voluto. Il deficit degli Stati Uniti negli scambi di beni (notare: parliamo di beni, non di servizi: negli scambi di servizi l’America non ha nessun deficit, anzi ha un largo surplus) è dovuto semplicemente al fatto che gli americani amano spendere (Dante li avrebbe messi fra i prodighi — Inferno, canto VII). Le famiglie americane risparmiano poco, la metà o meno (in quota di reddito) di quanto risparmiano le famiglie europee. Da molti anni gli americani vivono al di sopra dei loro mezzi (e la spia sta appunto nel fatto che l’economia Usa registra un eccesso di importazioni) — insomma, consumano più di quel che producono. Ma allora, perché i mercati non li puniscono?

Debiti e valuta

Come sappiamo, anche dalla nostra passata esperienza di italiani, quando un Paese vive al di sopra dei propri mezzi, è punito. I mercati sanno che, per un Paese come per una famiglia, vivere al disopra dei propri mezzi vuol dire indebitarsi — o dover vendere i gioielli di famiglia. Allora, i mercati forzano una svalutazione della moneta di quel Paese: questo deprezzamento del cambio porta a rincarare l’import e a stimolare l’export. Il Paese si vede costretto a tirare la cinghia, e per questa via il deficit con l’estero va a ridursi. Ma questo non succede con l’America, malgrado da molti lustri gli Stati Uniti continuino a importare più di quel che esportano e ad aumentare il debito con l’estero. Perché non succede? Perché non è tanto facile seguire la via maestra della correzione: svalutare il dollaro. La moneta americana è moneta di riserva, è moneta di fatturazione, è un bene rifugio… C’è sempre una domanda di dollari, specie tenendo presente che le transazioni per acquisti o vendite di dollari che hanno dietro scambi di beni o servizi, sono solo una piccola parte delle transazioni che avvengono nei mercati valutari: sono solo circa il 5%, tutto il resto viene dai movimenti di capitali.

 

«Esorbitante privilegio»

Insomma, il dollaro, grazie a quello che un Presidente francese degli anni Sessanta, Valéry Giscard d’Estaing, definì un «esorbitante privilegio», evita agli Usa la punizione del vivere al di sopra dei propri mezzi.

Abbiamo detto sopra: anche se l’imposizione dei dazi fosse giustificata, non sortirebbe l’effetto voluto. E di questo parleremo nella prossima puntata.

(1. Continua)


© RIPRODUZIONE RISERVATA


Leave feedback about this

  • Quality
  • Price
  • Service
[an error occurred while processing the directive]