04.07.2025
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Technology

«Consumatori spaventati, scarso interesse e diffidenza»


Convivere per un lungo periodo con un gruppo di luddisti e di scettici di una nuova tecnologia è un fenomeno abbastanza normale. E lo è anche per l’intelligenza artificiale. Il problema è che ci scordiamo di come la questione si sia presentata più volte nella storia, dall’invenzione della scrittura alla stampa a caratteri mobili, fino ai computer. Oggi, però, nonostante l’entusiasmo dei mercati che da un paio d’anni guadagnano miliardi, il vero problema dell’intelligenza artificiale non sono tanto i luddisti e i sostenitori del «si stava bene senza», quanto un gruppo crescente di consumatori che dell’IA non vuole fidarsi per diversi motivi. Lo sostiene una ricerca della Washington State University e della Temple University, nella quale si mostra come le aziende che decidono di pubblicizzare i loro prodotti presentandoli come costruiti attorno all’intelligenza artificiale, ottengano in cambio uno scarso interesse all’acquisto. In ogni test, i partecipanti esposti al linguaggio legato all’intelligenza artificiale si sono detti meno inclini a provare, acquistare o cercare quei prodotti, rispetto a chi aveva visto versioni non esplicitamente associate all’IA. L’effetto era attenuato ma comunque presente per i beni definiti «a basso rischio», come un televisore o un servizio di assistenza clienti. Diventava invece più marcato per acquisti percepiti come più delicati, tra cui un’automobile o un servizio medico-diagnostico.

LE REAZIONI

Secondo i ricercatori, le reazioni sono state in larga parte emotive: la mancanza di chiarezza sulle funzioni effettive dell’intelligenza artificiale, unita a possibili implicazioni per la sicurezza o la privacy, ha generato diffidenza. È il caso, ad esempio, del frigorifero «intelligente», che tra i prodotti a basso rischio è quello che ha suscitato meno entusiasmo. «I consumatori vedono pochi vantaggi concreti», ha spiegato Dogan Gursoy, docente di hospitality business management e co-autore dello studio. «Un frigorifero smart costa di più, richiede aggiornamenti software frequenti e può sollevare preoccupazioni sulla raccolta di dati legati alle abitudini alimentari».

Un secondo studio, condotto da Parks Associates con metodi differenti e un campione più ampio (circa 4.000 persone negli Stati Uniti), ha confermato questa tendenza. Quando è stato chiesto se l’etichetta IA rendesse un prodotto più o meno desiderabile, il 24% ha risposto «meno», il 18% «più», mentre il 58% ha dichiarato che non farebbe alcuna differenza. L’età gioca un ruolo significativo. Tra le persone nella fascia 18-44 anni, tra il 24% e il 27% si è detto più propenso ad acquistare un prodotto che includa l’intelligenza artificiale. La percentuale scende al 18% nel campione generale. Tra gli over 65, invece, il 32% ha affermato che sarebbe meno disposto all’acquisto in presenza dell’etichetta IA.

LA NARRAZIONE

Lo scetticismo di base è alimentato anche da centinaia di film e serie tv che negli ultimi decenni hanno costruito un’immagine negativa e pericolosa degli algoritmi e dei computer controllati da un’intelligenza artificiale: pensiamo per esempio a Megan, il film in cui la compagna di gioco perfetta si trasforma in un killer violento. O a notevoli episodi di Black Mirror, nei quali gli algoritmi si ribellano e diventano una minaccia sociale. I ricercatori ricordano che, fiction a parte, sarebbe meglio spiegare i vantaggi delle nuove tecnologie e tranquillizzare i consumatori sulla loro usabilità e sulla loro sicurezza. Questo nonostante per il giornalista tecnologico Casey Newton, di Platformer, i rischi non sono semplicemente commerciali, ma anche «esistenziali», ha scritto qualche mese fa sul suo blog. Casey parla di un gruppo di critici che sostengono che l’IA sia solo un abbaglio, come del resto lo sono stati gli Nft per qualche tempo. «In definitiva, sia chi pensa che l’IA sia una fregatura sia chi la considera reale e pericolosa concorda su un punto: potrebbe finire molto, molto male», conclude Casey.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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